giovedì 3 giugno 2010

LECTIO DIVINA, SOLENNITÁ DEL CORPO E SANGUE DI CRISTO


Preghiera iniziale
O Dio, che con il dono del tuo Spirito, guidi i credenti alla piena luce della verità, donaci di gustare nel tuo Spirito la vera sapienza e di godere sempre la gioia del tuo Regno, già presente in mezzo a noi, per Cristo nostro Signore. Amen.
Prima lettura Gen 14,18-20
Questo breve brano fa parte del 14° capitolo della Genesi, che è uno dei capitoli più enigmatici della storia patriarcale. Melchisedek riappare nella Bibbia ebraica solo in Sal 110,4, entra in questa scena all’improvviso “senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita” (cfr. Eb 7,3). Seguendo l’autore della lettera agli Ebrei, si può così spiegare: “il suo nome tradotto significa re di giustizia, inoltre è anche re di Salem, cioè re di pace” (Eb 7,2). Secondo l’ideologia regale dell’Antico Vicino Oriente, il re era anche sacerdote.
L’interesse del racconto si concentra sulla “benedizione” pronunciata da Melchisedek e sulla decima pagata da Abramo. Effettivamente,il brano è costruito su di una funzione sacerdotale, che consiste non nell’offerta  del sacrificio, ma nella “benedizione” che Melchisedek invoca su Abramo. Il pane e il vino da lui offerti al patriarca di ritorno dalla vittoriosa campagna militare, sono segno di ospitalità e di amicizia. Solo in questo senso hanno valore sacro. La benedizione, invece, ha due direzioni: è una benedizione “costitutiva”, perché quando il Dio creatore benedice, pone in essere una storia (v.19b),  in questo senso il re e sacerdote Melchisedek risulta mediatore di quella “benedizione” che gli altri testi biblici fanno giungere su Abramo con un intervento diretto di Dio.  Inoltre, questa benedizione è “dichiarativa”, perché l’uomo non può che riconoscere l’azione benedicente di Dio (v.20a), infatti Melchisedek si rivolge al Dio altissimo, nel senso evidente di un ringraziamento alla divinità per la protezione e l’aiuto concessi ad Abramo.
L’interpretazione cristologico – liturgica di questo brano, vede in Cristo l’attuazione di una realtà appena adombrata nei testi dell’AT.  Infatti  nel Nuovo Testamento, specialmente la lettera agli ebrei cap 7, rilegge la figura misteriosa di Melchisedek in chiave cristologica. Secondo l’autore,  Melchisedek  è una  figura profetica di Cristo. Lo sconcertante silenzio della Scrittura (Gn14) sui suoi antenati e sui suoi discendenti, suggerisce che il sacerdozio da lui rappresentato è eterno e libero da considerazioni dinastiche (Eb 7,1-3; 15-17 E Sal 110,4). Il fatto che Melchisedek benedice Abramo, il depositario delle promesse, è anche molto significativo perché l’atto della benedizione dimostra  una relazione interessante: “l’inferiore, riceve la benedizione da un “superiore”. Quindi la benedizione di questo re straniero, la cui grandezza non dipende dalla certezza di una genealogia, è segno della superiorità di questo sacerdote (Cristo) su Abramo e la sua discendenza (cfr Rm 9,12). Anche la decima pagata da Abramo, dimostra la medesima superiorità. Melchisedek, che “non era della loro stirpe”, riceve la decima dallo stesso patriarca e in lui anche Levi in qualche modo l’ha pagata all’eterno sacerdote . Di fatto,  la decima pagata ai sacerdoti levitici (Nm 18,25-32) cfr Dt 14,22+), era il salario per il loro ufficio cultuale e costituiva anche l’omaggio reso all’eminente dignità del loro sacerdozio. Se quindi lo stesso Levi, in Abramo grande patriarca, ha pagato la decima a Melchisedek, questi rappresenta un sacerdozio superiore.
Ricapitolando, Melchisedek è anzitutto, “sacerdote del Dio Altissimo”, e prefigura Cristo nella sua duplice qualificazione di Re messianico e Figlio di Dio. Cristo, in realtà, secondo il significato del nome Melchisedek, sarebbe L’Unto di Dio che stabilisce la giustizia e la pace, portando a compimento le antiche promesse. É il Mediatore tra Dio e l’uomo  per eccellenza, offre a noi il pane e vino, segni del suo tesso corpo e sangue, dono totale di se stesso a noi, suoi amici. Tutto questo  avviene in modo del tutto particolare nella  celebrazione eucaristica.
Seconda lettura 1Cor 11, 23-26
Il testo costituisce il centro della proposta biblica circa il significato della solennità odierna. Nella prima lettera ai Corinzi abbiamo la testimonianza diretta della vita della chiesa, che si ritrova a compiere lo stesso gesto di Cristo e a ripetere le sue parole pronunciate nell’ultima cena con gli apostoli. Non si tratta del racconto storico di quanto avvenuto meno di trent’anni prima, ma della tradizione liturgica che celebra il “memoriale” di un avvenimento carico di molti significati.
vv23a. “ho ricevuto…ho trasmesso”:  si usano  qui due verbi tecnici che esprimono il meccanismo della tradizione: più che vedervi il riferimento all’esperienza sulla via di Damasco (At 9,1-19) o qualche altra rivelazione avuta da Paolo di cui tacciono le fonti, è preferibile scorgervi il riferimento a una tradizione trasmessa per via orale risalente direttamente a Gesù, cui a maggior ragione risale la celebrazione della cena del Signore.
vv 23-25. Questi versetti riportano il racconto vero e proprio della tradizione della cena del Signore, mentre gli altri sono piuttosto di commento e di attualizzazione. Il senso abbraccia il mistero complessivo della morte salvifica di Cristo che, “fu consegnato” da Dio alla morte (cfr. Gv 3,16; Rm 4,25; 8,32; Gal 2,20; 1Gv 4,10).  Il pane e vino erano già elementi rituali del pasto sacro, ma Gesù li identifica con se stesso. Dandoli in cibo agli apostoli, fa loro capire di volerli unire a sé nella nuova alleanza che sta compiendo con l’offerta della propria vita. L’espressione  “che è per voi”  si avvicina a Lc 22,19, che la esplicita  dicendo “che è dato per voi”: si sottolinea il valore espiatorio e salvifico della morte di Cristo per gli uomini. Questo è evidenziato ancora di più dalle parole dette sul calice relative al sangue: “è la Nuova Alleanza nel mio sangue”: è nuova questa alleanza perché è stipulata nel sangue di Cristo e si contrappone all’antica” stipulata da Mosè (Es 24,8) con il sangue degli animali. “fate questo..”: è  il precetto categorico di Gesù di ripetere e rinnovare la sua ultima cena. “in memoria di me”: memoria, (in greco anamnesis), richiama  la portata teologica di Es 12,14; 13,9. Perciò non si tratta di un semplice ricordo psicologico, ma di una vera e propria attualizzazione sotto forma sacramentale dell’ultima cena di Gesù. Nell’Eucaristia infatti, noi crediamo la presenza reale del nostro Signore Gesù Cristo.
v.26. “Ogni volta infatti…annunziate la morte del Signore”: Paolo interpreta e commenta  teologicamente il dato tradizionale suesposto servendosi del concetto di “memoriale”.  Celebrare la cena del Signore significa, quindi, attualizzare  il suo amore espresso con la sua morte ed annunziarla, proclamarla sia con i gesti, sia con le parole “finché egli  venga”: oltre ad esprimere l’attesa, da parte della chiesa, della seconda venuta di Cristo, si sottolinea che l’Eucaristia sta tra la morte di Gesù e la sua seconda venuta.
Il Vangelo: Lc 9,11b-17
Contesto
Il  testo si trova a metà del Vangelo di Luca: Gesù espande ed intensifica la sua missione nei villaggi della Galilea e manda i dodici discepoli ad aiutarlo (Lc 9,1-6).  La notizia di tutto questo raggiunge Erode, colui che mandò ad uccidere Giovanni Battista (Lc 9,7-9).  Quando i suoi discepoli ritornano dalla missione, Gesù li invita ad andare in un luogo solitario (Lc 9,10).  Qui segue il nostro testo che parla della moltiplicazione dei pani (Lc 9,11-17). Subito dopo Gesù pone una domanda: “Chi sono io secondo la gente?” (Lc 9,18-21).  Detto questo, per la prima volta, parla della sua passione e della sua morte e delle conseguenze di tutto ciò per la vita dei discepoli (Lc 9,22-28). Avviene la Trasfigurazione, in cui Gesù parla con Mosè e con Elia della sua passione e morte a Gerusalemme (Lc 9,28-43).  Segue un nuovo annuncio della passione, con sbalordimento ed incomprensione da parte dei discepoli (Lc 9,44-50). Infine, Gesù decide di andare a Gerusalemme, dove incontrerà la morte (Lc 9,52).
Spiegazione
v.10: Gesù e i discepoli si ritirano in un luogo solitario
I discepoli ritornano dalla missione a cui sono stati inviati (Lc 9,1-6).  Gesù li invita a ritirarsi con lui in un luogo solitario, vicino a Betsaida, al nord del lago di Galilea.  Il Vangelo di Marco aggiunge che lui li invita a riposarsi un poco (Mc 6,31). Descrivendo la missione dei 72 discepoli, Luca descrive la revisione dell’azione missionaria da parte di Gesù, azione svolta dai discepoli (Lc 10, 17-20).
v.11: La folla cerca Gesù e Gesù accoglie la folla
La folla sa dove si trova Gesù e lo segue. Marco è più esplicito. Dice che Gesù e i discepoli vanno in barca e la folla segue a piedi, per un altro cammino, in un luogo determinato. La folla giunge prima di Gesù (Mc 6,32-33). Giunti al luogo del riposo, vedendo quella folla, Gesù l’accoglie, parla del Regno e cura i malati.  Marco aggiunge che la folla sembra un gregge senza pastore. Dinanzi a questa situazione della folla, Gesù reagisce come un “buon pastore”, orientando la folla con la sua parola ed alimentandola con pani e pesci (Mc 6,34ss).
v.12: La preoccupazione dei discepoli e la fame della folla
Il giorno comincia a declinare, si avvicina il tramonto. I discepoli sono preoccupati e chiedono a Gesù di allontanare la folla.  Dicono che nel deserto non è possibile trovare cibo per tanta gente.  Per loro l’unica soluzione è che la folla vada nei villaggi vicini, a comprare pane. Non riescono ad immaginare un’altra soluzione.
Tra le linee di questa descrizione della situazione della folla, appare qualcosa di molto importante. Per poter stare con Gesù, la gente dimentica di mangiare.  Vuol dire che Gesù deve aver saputo attrarre la folla, fino al punto che questa dimentica tutto nel seguirlo per il deserto.
v.13: La proposta di Gesù e la risposta dei discepoli
Gesù dice: “Date da mangiare alla folla”. I discepoli sono spaventati, poiché hanno solo cinque pani e due pesci.  Ma sono loro che devono risolvere il problema, e l’unica cosa che viene loro in mente di fare è andare a comprare pane.  Hanno in mente solo la soluzione tradizionale, secondo cui qualcuno deve procurare pane per la gente.  Qualcuno deve procurare il denaro, comprare pane e distribuirlo tra la folla, ma in quel deserto, questa soluzione è impossibile. Loro non vedono un’altra possibilità di risolvere il problema. Ossia: se Gesù insiste nel non rimandare la gente a casa loro, non c’è soluzione per la fame della folla. Non passa loro per la mente che la soluzione potrebbe venire da Gesù e dalla folla stessa.
vv.14-15: L’iniziativa di Gesù per risolvere il problema della fame
C’erano lì cinquemila persone. Molta gente! Gesù chiede ai discepoli di far sedere la folla in gruppi di cinquanta. Ed è qui che Luca comincia ad usare la Bibbia per illuminare i fatti della vita di Gesù. Evoca Mosè.  E’ lui infatti che, per primo, dà da mangiare alla folla affamata nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto (cf. Num cap. 1 a 4). Luca evoca anche il profeta Eliseo. È  Eliseo,  infatti, che nell’Antico Testamento fa bastare pochi pani per sfamare una moltitudine di gente e perfino avanzano (2 Re 4,42-44). Il testo suggerisce quindi che Gesù è il nuovo Mosè, il nuovo profeta che deve venire nel mondo (cf. Gv 6,14-15). La moltitudine delle comunità conosceva  l’Antico Testamento, ed a buon intenditore basta mezza parola. Così vanno scoprendo, poco a poco, il mistero che avvolge la persona di Gesù.
v.16: Evocazione e significato dell’Eucaristia
Dopo che il popolo si siede per terra, Gesù moltiplica i pani e chiede ai discepoli di distribuirlo. Qui è importante notare come Luca descrive il fatto. Dice: “Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla”.  Questo modo di parlare alle comunità degli anni ’80 (e di tutti i tempi) fa pensare all’Eucaristia. Poiché queste stesse parole saranno usate (e lo sono tuttora) nella celebrazione della Cena del Signore (22,19).   Infatti, sono stati più volte sottolineati i legami letterali che uniscono questo racconto a quello dell’ultima cena e a quello dei discepoli di Emmaus (Lc 22,19; 24-30). Luca suggerisce che l’Eucaristia deve portare alla moltiplicazione dei pani, che vuol dire condivisione. Deve aiutare i cristiani a preoccuparsi dei bisogni concreti del prossimo. È  pane di vita che dà coraggio e porta il cristiano ad affrontare i problemi della folla in modo diverso, non dal di fuori, ma dal di dentro della gente e in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo.
v.17: Il grande segnale: tutti mangeranno
Tutti mangeranno, si sazieranno ed avanzeranno ceste intere! Soluzione inattesa, realizzata da Gesù e nata dal di dentro della folla, partendo da quel poco che avevano portato, cinque pani e due pesci. Ed avanzano dodici cesti dopo che cinque mila persone hanno mangiato cinque pani e due pesci! La moltiplicazione del cibo materiale è soltanto “segno” e prefigurazione di un altro cibo che sarà caratteristico del regno messianico e che sarà distribuito a tutti in misura sovrabbondante (le “dodici ceste” avanzate)
Breve riflessione:
Letto e riflettuto  attentamente, l’episodio della moltiplicazione dei pani ci porta dunque nel cuore del mistero eucaristico. Esso viene presentato nei suoi aspetti qualificanti: l’annuncio del “regno”, la centralità della persona di Gesù, il bisogno della folla costituita in comunità di credenti, il pasto con un cibo misterioso distribuito dagli apostolo, la sazietà che ne consegue, accompagnata dalla possibilità di continuare a cibarsi dello stesso pane. Non è difficile vedere adombrata in questi elementi la comunità cristiana radunata per la cena attorno al suo Signore, che è presente e opera la salvezza per tutti.
I testi biblici presentati dalla liturgia odierna, ci orientano a leggere il mistero eucaristico a partire dalla persona di Gesù-sacerdote. Ma questa “funzione” non va interpretata alla luce di un sacerdozio di tipo levitico, bensì sulla linea di quello esercitato dal misterioso re di Salem, un sacerdozio più universale (cfr. Ia lettura), capace di unire tutti gli uomini in “un’alleanza” con Dio, nuova e definitiva e di costituire una vera comunità, che condivide fraternamente lo stesso cibo ricevuto come dono gratuito.
Dall’esperienza carmelitana: Beata Madre Crocifissa Curcio:
«L’ostia divina mi penetrò nel cuore, mi annegò nel suo immenso amore, mi ricolmò dei più intimi carismi; sembrava l’incontro di coloro che si amano sino alla follia e che dopo tanti giorni si rivedono : Tu sei il mio calice, la mia pisside, il mio altare». «L’amore che ogni giorno attingete nell’Eucaristia, comunicatelo a tutto il mondo colla preghiera, coi grandi e immensi desideri di salvare tutte le anime e con le parole e soprattutto il buon esempio».
 Preghiera finale
Sostenuti dal sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita. Guarda, Signore il pane della sofferenza, il pane impastato dalle nostre mani di miseria, il pane dello sforzo, il pane del lavoro: dacci oggi, Signore, il nostro pane quotidiano. Che diventi il pane della festa, che diventi il vino dell’amore! Che diventi un canto di gioia sulla terra, che diventi il tuo corpo spezzato e diviso tra fratelli. Amen.

1 commento:

  1. Ciao,
    sono l'amministratore del sito "http://mybestales.blogspot.com", nato per raccogliere le testimonianze di chi è stato a Medjugorje a visitare la Mamma Celeste. Sarei felice se inserissi un link sul tuo sito verso "myBESTales" (io farò lo stesso per il tuo sito) in modo da contribuire insieme a diffondere l'importanza di Medjugorje e i Messaggi di Maria nel web. Ti ringrazio molto per la tua attenzione e ti invito a leggere alcune delle meravigliose testimonianze inviatemi, in attesa di una risposta.

    Antonino,
    amministratore di "myBESTales".
    Contatto: ilcidmt@gmail.com

    RispondiElimina