domenica 21 febbraio 2010

LECTIO DIVINA: 1ª Domenica di Quaresima C.


Preghiera iniziale:
O Signore, all’inizio di questo tempo quaresimale, mi inviti a meditare ancora una volta, il racconto delle tentazioni, perché riscopra il cuore della lotta spirituale e soprattutto perché sperimenti la vittoria sul male. Spirito Santo “visita le nostre menti” perché nella nostra mente spesso proliferano molti pensieri che si fanno sentire in balia del frastuono di tante voci. Fuoco d’amore, purifica anche i nostri sensi e il cuore perché siano docili e disponibili alla voce della tua Parola. Fa’ luce in noi perché i nostri sensi, purificati da te, siano in grado di entrare in dialogo con te. Se il fuoco del tuo Amore divampa nel nostro cuore, al di là delle nostre aridità, può dilagare la vita vera che è pienezza di gioia.
Prima lettura: Dt 26,4-10
Il brano è uno dei più importanti di tutto L’Antico Testamento (cfr anche Dt 6,20-23; Gs 24.1-13 e Ne 9,7-25), contiene il “credo cultuale dell’Israelita”. In pochi e semplici versetti sono ripercorsi tutti i maggiori passaggi storici del popolo ebraico e le gesta di liberazione compiute da Dio: i cicli patriarcali e la coscienza dell’origine seminomadica di Israele (“arameo errante”); la discesa in Egitto e lo sviluppo di Israele (ciclo di Giuseppe); l’umiliazione da parte degli egiziani e l’esodo dall’Egitto (Mosè); l’entrata nella Terra promessa. Questa confessione di fede avviene davanti all’altare del Signore, nel momento dell’offerta annuale delle primizie a Dio, riconoscimento che quei frutti della terra sono un dono che viene da Lui. Per il cristiano questo passo, carico di sentimento religioso, aiuta a meglio apprezzare il dono della sua fede in Dio che lo ha eletto, gli promette una nuova terra (cf Mt 5,5) e lo guida con la sua amorevole provvidenza.
Seconda lettura: Rm 10,8-13
In questo passo l’apostolo Paolo invita la comunità dei cristiani di Roma a prendere coscienza del fatto che la salvezza è frutto di un dono che Dio fa immeritatamente a tutti in Cristo Gesù, purché ci si abbandoni a lui nella fede. Infatti «chiunque crede in Lui, non sarà deluso». Pertanto, Paolo spiega che la bocca e il cuore sono due vie di espressione della fede. La prima fa la sua confessione, la sua professione, il suo riconoscimento all’esterno e pronuncia il suo “si” a «Gesù che è il Signore». Il cuore invece, dall’interno dell’uomo, dà il suo assenso di adesione nella fede, riconoscendo l’iniziativa fontale di Dio che, attraverso la risurrezione di Cristo, ha operato la salvezza.
Terza lettura: Lc 4,1-13
Presentazione del testo
Luca racconta in 4,1-44 alcuni aspetti del ministero di Gesù dopo il suo battesimo, tra cui le tentazioni del demonio. Infatti narra che Gesù, «pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni» (4,1-2). Questo racconto è riportato anche nel Vangelo di Matteo (4,1-11) e solo accennato nel Vangelo di Marco (1,12-13). Tale episodio nei sinottici è posto come preludio al ministero pubblico di Gesù e si rivela essere in qualche modo l’anticipazione delle numerose contraddizioni che il Nazareno dovrà subire lungo il suo cammino, fino alla violenza estrema della passione e morte.
Quindi le tentazioni non vanno considerate come un fatto esterno, ma come un’ esperienza concreta nella vita di Gesù. In effetti, nel suo ministero, Gesù ha sperimentato: l’ostilità, l’opposizione, il rifiuto. Tali «tentazioni» sono state reali e concrete nella sua vita e non ha fatto ricorso al suo potere divino per risolverle, ma si è radicalmente sottomesso alla Volontà del Padre suo.
Spiegazione del testo
vv.1-2: condotto dallo Spirito Santo nel deserto, fu tentato dal diavolo per quaranta giorni.
Secondo Luca, è lo Spirito Santo che guida tutto il cammino di Gesù, è lui che lo porta nel deserto; in quella solitudine mistica e aggressiva, egli si prepara nel digiuno più assoluto alla vita che lo attende.
Nel deserto si è anche formato il popolo che, uscito dalla schiavitù dell’Egitto, è stato in cammino verso la terra promessa. Luogo del già e del non ancora, della nostalgia di passato e della sfiducia nel futuro, è arido, in vivibile, insidiato dal nemico. Ma bisogna attraversarlo, avendo come guida Lo Spirito Santo, come sostegno la Parola di Dio e come provvista la sua fedeltà. Quindi il deserto è figura della vita stessa del battezzato, con tutti i pericoli e le paure attraverso i quali lo Spirito lo conduce. Se Gesù è pieno dello Spirito di Dio, il suo stesso Spirito riempie anche noi che siamo e camminiamo in lui, solidali con lui nella lotta e nella vittoria.
Quaranta giorni: è un’ allusione ai 40 anni di deserto del popolo eletto, a tutta la vita che è insidiata dal divisore che ci vuol separare da Dio e dalla sua promessa.
Il diavolo: Il diavolo è colui per la cui invidia entrò la morte nel mondo (Sap 2,24), colui che insinuò nel cuore di Adamo il sospetto e la sfiducia in Dio, lo portò a disobbedire e a chiudersi a lui (Gn 3). É il vero protagonista del male: contro di lui è la lotta e la vittoria di Cristo. É il dio di questo mondo (2Cor 4,4), il principe di questo mondo (Gv 12,31; 14,30; 16,11), nelle cui mani è posto ogni potere sulla terra (4,6). Secondo Ap 13,2 il drago (diavolo) ha dato alla bestia (l’impero romano) “la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande”. La radice, con cui il male può impiantarsi nell’uomo e produrre i suoi frutti velenosi, è l’egoismo che ha il terreno nella diffidenza prodotta dalla menzogna che ha portato a non ascoltare Dio.
Ebbe fame: Le tentazioni hanno come trappola le tre fami fondamentali dell’uomo, in relazione rispettivamente alle cose, alle persone e a Dio. Presentano la possibilità di garantirne la soddisfazione mediante il possesso delle cose con l’avere, le persone col potere, Dio col volere, invece che mediante il dono. Ogni peccato ripete quello di Adamo: impadronirsi del dono, staccandolo dalla sua sorgente.
vv.3-4: la prima tentazione: trasformare una pietra in pane
Sin da questa prima tentazione, il diavolo chiama Gesù “Figlio di Dio”; questa designazione non vuole indicare la natura divina di Gesù, ma il suo particolare rapporto con Dio: Gesù, quale Figlio di Dio, può invocare l’onnipotenza divina e, per l’aiuto che questa gli comunica, può comandare alle pietre che si trovano ai suoi piedi, di trasformarsi in pane per sfamarlo in questo momento di estremo bisogno. La tentazione consiste nel suggerire a Gesù di appellarsi alla potenza divina e di usarla per una personale necessità, magari secondo la propria volontà. Per Gesù invece, essere Figlio di Dio, significa agire in obbedienza totale al Padre e in piena accettazione dei suoi voleri. Quindi rimanergli fedele anche se si attraversassero momenti difficili. Con questa tentazione il diavolo intende turbare i rapporti filiali di Gesù con il Padre.
vv.5-8: la seconda tentazione: entrare in possesso di tutti i regni della terra e avere la gloria
Il diavolo si attribuisce le stesse proprietà di Dio dichiarando che è stato messo nelle sue mani il possesso di tutti i regni della terra. La tentazione consiste nel distogliere da Dio l’adorazione dovutagli per prestarla al diavolo. In tal modo questi si propone di indurre Gesù alla disobbedienza al Padre e a spezzare la relazione di figliolanza che l’unisce a lui. Nella sua risposta Gesù sottolinea che “solo” Dio va adorato, precisando così, in termini inequivocabili, il più puro monoteismo.
vv.9-12: la terza tentazione: buttarsi dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme
Nella terza tentazione, il diavolo cambia tattica: adesso si appella anche lui alla Scrittura per tentare il Salvatore: infatti cita il Sal 91,11-12. Con questa suggestione, il demonio vuole indurre Gesù a mettere alla prova Dio verificando la verità di questa promessa fatta al giusto, il Salvatore. Gesù come ogni giusto, non dubita della verità di questa promessa divina, ma evita di mettere alla prova Dio. Gesù replica al tentatore citando il testo del Dt 6,16: “non tentare il Signore Dio tuo”. Con questa risposta egli esprime la sua ferma volontà di obbedienza al comando del Padre.
Insomma, tentato dalle lusinghe di Satana, Gesù reagisce attraverso un atteggiamento di radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, restando – per così dire – con i piedi per terra: egli custodisce con sobrietà e saldezza la propria umanità, salvaguardando in tal modo anche l’immagine di Dio rivelata dalle Scritture. E l’arma con cui Gesù perviene alla vittoria è la sottomissione alla Parola di Dio: in risposta alle tentazioni, sulla sua bocca risuona solo la Parola di Dio contenuta nelle Scritture, una Parola che egli assume e vive nel suo significato profondo, non nella sua semplice lettera, come invece fa Satana…
vv. 13: Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui..
In questo versetto, Gesù esce vincitore mentre il tentatore è il vinto nonostante la scaltrezza dei suoi attacchi. Infatti, nella sua vita pubblica, Gesù dimostrerà di saper superare ogni opposizione. Per Luca, il cuore dell’uomo sintonizzato su quello di Dio, non può che essere armonico e vincitore.
Dall’esperienza carmelitana: s.Teresa di Lisieux
«.. il Signore si è degnato far passare l'anima mia per varie prove; ho sofferto molto da quando sono sulla terra, ma, se nella mia infanzia ho sofferto con tristezza, ora non soffro più così, bensì nella gioia e nella pace, e sono veramente felice di soffrire…Gesù ha permesso che l’anima mia fosse invasa dalle tenebre più fitte, e che il pensiero del Cielo, dolcissimo per me, non fosse più se non lotta e tormento..questa prova non doveva durare per qualche giorno, non per qualche settimana: terminerà soltanto all’ora segnata da Dio misericordioso. » (MA 274, 276)
Preghiera finale:
Signore, noi ti cerchiamo e desideriamo il tuo volto, fa che un giorno, rimosso il velo, possiamo contemplarlo. Ti cerchiamo nelle Scritture che ci parlano di te e sotto il velo della sapienza, frutto della ricerca delle genti. Ti cerchiamo nei volti radiosi di fratelli e sorelle, nelle impronte della tua passione nei corpi sofferenti. Ogni creatura è segnata dalla tua impronta, ogni cosa rivela un raggio della Tua invisibile bellezza. Tu sei rivelato dal servizio del fratello, al fratello sei manifestato dall’amore fedele che non viene mai meno. Non gli occhi, ma il cuore ha la visione di Te, con semplicità e veracità noi cerchiamo di parlare con Te.

giovedì 18 febbraio 2010

FORMAZIONE


Nei giorni 11-15 di Febbraio, si è riunito in Casa Madre-s.Marinella, l’equipe collaborativa internazionale per la formazione i cui membri sono sr M.Lilian Kapongo, sr M.Cecilia Tada, sr. M. Elizabeth Rebiero, sr M.Nerina de Simone, e sr M. Ivana Calvo, ha partecipato anche sr M.Claudia Diac in quanto membro dell’equipe formativo di Casa Madre.
        In questo incontro è stata affrontata la questione dell’azione formativa nella Congregazione sia per ciò che riguarda la formazione iniziale sia quella permanente. Concretamente è stato un momento significativo per prendere visione dei contenuti formativi di ogni tappa in tutte le tre dimensioni: umana, cristiana e carismatica; scambio di riflessioni sulla visione della persona, il concetto di formazione e il metodo formativo, secondo la nostra “Ratio Institutionis”. Si è concluso con la programmazione del Convegno internazionale per le formatrici di tutta la Congregazione che avrà luogo nel mese di ottobre: 18-31/10/2010.
        Chiediamo a tutte di accompagnare queste attività con la vostra preghiera e altri contributi secondo la possibilità di ciascuna.
        Buon cammino verso la Pasqua di Resurrezione.
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On days 11-15 in the month of February, the formation collaborating team was reunited at the Mother House-S.Marinella, Roma. The team whose members are Sr. M. Lilian Kapongo, Sr. M. Cecilia Tada, Elizabeth Rebiero, sr M. Nerina de Simone, Sr. M.Ivana Calvo and Sr. M. Claudia Diac, also participated as a member of the formation team in the Mother House.
In this meeting, it was addressed the formation issues in our Congregation. Questions and verification  for what really concerns the initial training is; and the permanent one. In practical terms, it was a significant moment to review the training content of each stage in all three dimensions: human, christian and charismatic. An exchange of ideas on the vision of the person, the concept of training and the training method, according to our “Institutionis Ratio”. It concluded with the plan programmed for the International Congress for the formators of the entire congregation to be held in the month of October: 18-31/10/2010.
 We ask everyone to accompany these activities with your prayers and other contributions in accordance with the possibilities.A good journey towards Easter.
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Encontram-se reunidas na Casa Madre, em Santa Marinella, de 11 a 15 de fevereiro, as Irmãs: Lilian Kapongo, Cecilia Tada, Elizabeth Ribeiro, Nerina de Simone, Ivana Calvo, Claudia Diac e para uma exaustiva agenda de estudo, analise, avaliação e programação em torno do tema da formação em vista da preparação do Seminário de Formadoras.
A Equipe deve encaminhar também, de acordo com a deliberação do 13 Capitulo geral, um caminho comum que espelhe concepção, método e contendo formativo para a formação inicial para todas as realidades onde a Congregação se faz presente.

venerdì 12 febbraio 2010

LECTIO DIVINA: 6ª Dom. Tempo Ordinario C



Orazione iniziale
O Dio che con il dono del tuo Spirito guidi i credenti alla piena luce della verità, donaci di gustare nel tuo Spirito la vera sapienza e di godere sempre la gioia del tuo Regno, già presente in mezzo a noi, per Cristo nostro Signore Amen.
Prima lettura: Geremia 17,5-8
Il brano ci presenta le persone “benedette” in contrapposizione ad altre “maledette”; per il profeta le une sono coloro che confidano nel Signore e ripongono in lui la loro fiducia; mentre le altre (le maledette) sono coloro che confidano nell’uomo e pongono nella carne il loro sostegno. Infatti, i vv 5-11 rilevano il popolo di Israele che si  fida degli uomini, dell’intelligenza (“cuore”) e delle ricchezze. Ma l’uomo è “carne” fragile e imperfetta (cfr Is 40,6), il cuore fallace, le ricchezze effimere; farne il punto di riferimento esistenziale, manda allo sbando senza rimedio.  Quindi, Il contrasto tra l’uomo maledetto e quello benedetto è formulato a partire dal fondamento della loro “fiducia”: nell’essere umano o in  JHWH. In modo analogo alle “beatitudini” e ai “guai” del Vangelo di Luca, anche il brano profetico offre la motivazione di tale diversa situazione: l’avvenire dell’uomo che confida e si abbandona in Dio è prospero e senza preoccupazioni, egli somiglia all’albero rigoglioso che produce sempre frutti e non teme la siccità, perché piantato lungo il fiume (v.8),; al contrario l’uomo maledetto presto inaridirà, sarà sempre sterile e seccherà (v.6; fr anche il Sal 1)
Seconda lettura: 1Cor 15, 12.16-20
La pericope presenta i passi significativi dell’argomentazione di Paolo per dimostrare la verità della risurrezione dei morti, il credo cristiano che non ha avuto sempre facile accoglienza (cf. At 17,32;26,24). Nel brano immediatamente precedente,l’apostolo si è appellato alle prove storiche, ai testimoni, cioè, della risurrezione di Gesù (vv. 3-11), ora fa ricorso anche alle ragioni teologiche. La risurrezione è la garanzia unica ed esclusiva non tanto della credibilità di Gesù Cristo, quanto della validità della sua missione ovvero della sua azione redentiva. Se egli non fosse risorto, non solo non avrebbe dato la giusta prova di quello che aveva predicato, ma non avrebbe dimostrato e avviato il processo di rigenerazione e di rinascita di quelli che muoiono. Se ciò fosse vero ,non ci sarebbe futuro, non ci sarebbe speranza di una vita nuova in quelli che hanno chiuso l'esperienza terrestre. L'argomentazione di Paolo concepisce la morte di Cristo come un sacrificio di espiazione per i peccati dell'umanità. La risurrezione prova che Gesù è entrato nel mondo di Dio, quindi ha offerto al Padre il risarcimento che aspettava dagli uomini e da lì ora attende quelli che hanno creduto in lui. È evidente che se non fosse risorto, né lui né i suoi seguaci sarebbero mai entrati nel regno della vita, non sarebbero quindi salvi. La risurrezione è, si può dire, un termine convenzionale, equivalente a continuità nell'esistenza. Gesù risorto significa che egli vive, non è nel regno dei morti, ma dei vivi. Solo che è un trapasso senza prove, senza verifiche; si può accettare affidandosi alla parola di Dio trasmessa da Gesù Cristo.
   Gesù è la primizia dei dormienti (v. 20), il primogenito tra molti fratelli (Rom 8,29), ma se non si è verificato in lui il trapasso alla nuova vita, non si verificherà in nessuno, nemmeno in quelli che vivono con tale fede in lui. Anzi questi che coltivano tali illusioni, accanto a privazioni e sacrifici di ogni genere, sono alla fine da compiangere più degli altri. L'apostolo nemmeno accetta queste supposizioni e chiude ogni possibile riserva riaffermando categoricamente la sua fede nella risurrezione (v. 20).
Terza lettura: Lc 6,17.20-26    
a. Presentazione del testo       
    Il brano di Lc 6,20-26 è parallelo a Mt 5,1-12, con un gioco delle somiglianze e differenze. L'ambientazione, infatti, è diversa. Matteo fa parlare Gesù dall'alto di un monte, che simbolicamente evoca il Sinai, il monte su cui Mosè riceve le Dieci parole dell'Alleanza. Luca, invece, introduce il discorso precisando che Gesù, disceso con i Dodici, «si fermò in un luogo pianeggiante» (v. 17). I versetti precedenti di questo sesto capitolo, narrano che Gesù si era recato sul monte a pregare, e dopo aver passato tutta la notte in preghiera, chiama a sé i discepoli scegliendone dodici, «ai quali diede anche il nome di apostoli» (v. 13). Il primo frutto della preghiera di Gesù sembra, dunque, essere la cosiddetta istituzione dei Dodici. Anche il Discorso della pianura che coinvolge sia i discepoli, sia una gran moltitudine di gente, proveniente da diverse parti, pare, nella trama narrativa che l'evangelista intesse, affondare le sue radici in questa notte di preghiera solitaria.

v.17: “e disceso insieme con loro, stette in un luogo pianeggiante”
A differenza di Matteo, Luca fa “scendere Gesù” dal monte, come Mosè, per portare al popolo la nuova legge. É la condiscendenza di Dio verso quel popolo che non poteva salire a lui (cfr Es 19,12s).
 Il suo discorso è “in un luogo pianeggiante”: umile e modesto come tutta la rivelazione di Dio in Gesù.  Con il simbolo spaziale della 'discesa', Luca sembra suggerirci che le beatitudini che oggi ascoltiamo, sono una parola che discende verso di noi, ci raggiunge e ci consola nei molti luoghi delle nostre povertà e delle nostre afflizioni, consentendoci di gustare quella gioia e quella pienezza di vita che provengono dall'alto: da Dio.  Nella visione di Gesù, che tanto Matteo, quanto Luca ci tramandano, sia pure con accenti differenti, le beatitudini, prima ancora che essere una descrizione di come gli uomini debbano agire verso Dio e verso gli altri, sono una rivelazione del modo di essere e di agire del Padre che è nei cieli. Infatti, è lui che dona il suo regno ai poveri, che sazia chi ha fame, che consente di ridere a chi piange, che offre nella gioia e nell'esultanza una ricompensa a chi ora è odiato, insultato, disprezzato a motivo della sua fede nel Figlio dell'uomo.

Lc. 6, 20-23, Le quatro Beatitudine
* Luca 6, 20: Beati voi, poveri!  La prima beatitudine identifica la categoria sociale dei discepoli di Gesù. Loro sono poveri! E Gesù garantisce loro: “Vostro è il Regno dei cieli!” Non è una promessa che riguarda il futuro. Il verbo è al presente. Il Regno è già in  loro. Pur essendo poveri, loro sono già felici. Il Regno non è un futuro buono. Esiste già in mezzo ai poveri. Nel vangelo di Matteo, Gesù esplicita il senso e dice: "Beati i poveri in Spirito!" (Mt 5,3). Sono i poveri che hanno lo Spirito di Gesù. Perché ci sono poveri che hanno lo spirito e la mentalità dei ricchi. I discepoli di Gesù sono poveri ed hanno mentalità di poveri. Anche loro, come Gesù, non vogliono accumulare, ma assumono la loro povertà e, come Gesù, lottano per una convivenza più giusta, dove ci sia fraternità e condivisione di beni, senza discriminazione. Il programma di Gesù guarda a tutto l'uomo, al suo corpo come al suo spirito, ai rapporti con Dio ma anche con i propri simili; abbraccia tutto e tutti senza escludere nessuno, ma le sue attenzioni, quasi le sue preferenze, vanno agli umili, ai piccoli, agli indigenti, ai malati, in una parola ai «poveri», perché ne hanno più bisogno (Lc 4,18; 7,22). Il rappresentate concreto dei “poveri” per Luca è Lazzaro, il quale sta in contrapposizione con il ricco epulone (Lc 16,19ss). In questa parabola, esclusivamente lucana, troviamo l’identità antitesi del brano iniziale del discorso delle beatitudine, dove i poveri che piangono e soffrono la fame, sono contrapposti ai ricchi gaudenti ed epuloni (vv20ss). Lazzaro viveva nella miseria più nera, anzi era coperto di piaghe e desiderava sfarmarsi con gli avanzi caduti dalla tavola del ricco epulone (Lc 16,21).Quindi i “poveri” proclamati “beati” nel Vangelo di Luca sono le persone indigenti in senso socio-economico.
* Luca 6, 21: Beati voi, che ora avete fame, beati voi che ora piangete!  Nella seconda e terza beatitudine, Gesù dice: "Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati! Beati voi che ora piangete, perché riderete!" La prima parte di queste frasi è al presente, la seconda al futuro. Ciò che ora viviamo e soffriamo non è definitivo. Ciò che è definitivo sarà il Regno che stiamo costruendo oggi con la forza dello Spirito di Gesù. Costruire il Regno suppone sofferenza e persecuzione, però una cosa è certa: il Regno giungerà e “voi sarete saziati e riderete!”. Il Regno è nello stesso tempo una realtà presente e futura. La seconda beatitudine evoca il cantico di Maria: “Ha ricolmato di beni gli affamati” (Lc 1,53). La terza evoca il profeta Ezechiele che parla delle persone che “sospirano e piangono per tutti gli abomini” compiuti nella città di Gerusalemme (Ez 9,4; cf Sl 119,136).
*Luca 6, 23: Beati voi, quando gli uomini vi odieranno...rallegratevi.! In quest’ultima beatitudine Luca concorda sostanzialmente con Matteo. Il messaggio qui proposto da Gesù è davvero sconcertante, perché l’odio e le persecuzioni a causa del Figlio dell’uomo sono presentati come motivo e fonte di gioia. L’odio dei nemici del Cristo scatenerà persecuzioni contro i seguaci del Vangelo, causando la loro emarginazione dalla società (v.22). I primi testimoni del Signore Gesù furono oggetto di simili ostilità per il  “nome”, ossia a motivo del Figlio di Dio: così fu per Pietro, Paolo, Stefano e tanti altri. Per i cristiani l’ostilità non deve essere motivo di tristezza, ma di gioia, perché la loro ricompensa in cielo è molto abbondante (v,23) e perché il loro nomi sono scritti nel cielo (Lc 10,20).
Luca  6,24-26: I  quattro guai . Dopo le quattro beatitudini a favore dei poveri e degli esclusi, seguono quattro guai contro i ricchi, coloro che sono sazi, coloro che ridono o che sono lodati da tutti.  I ricchi non debbono vivere tranquilli e spensierati, ammonisce il Maestro, perché saranno esclusi dalla felicità eterna e gettati nel luogo dei tormenti, dove saranno torturati; già l’epulone ha subito tale sorte (Lc 16,23-24). I ricchi, infatti, hanno ricevuto la loro consolazione sulla terra (v.24), ossia i piaceri, i banchetti e la pazza gioia (c.25; 16,25). Costoro molto difficilmente entreranno nel regno di Dio (Lc 18,24s), perciò debbono temere lo stato di infelicità eterna nell’avvenire. (v.25).Tuttavia cogliendo il significato più profondo, i quattro guai non vanno intesi alla stregua di una minaccia, di un giudizio o peggio di un castigo. Sono piuttosto un avvertimento profetico, attraverso il quale Gesù mette in guardia coloro che ripongono la propria fiducia in se stessi e nei propri beni, come ammonisce il profeta Geremia nella   prima lettura e come ci ricorda anche il Salmo 1. Quindi, siamo posti di fronte a due vie, a due modi contrapposti di orientare la nostra esistenza: la possiamo fondare nell'attesa confidente di ciò che Dio farà per noi, realizzando la sua promessa; oppure possiamo fondarla su noi stessi e sulle nostre ricchezze. Questa è la differenza fondamentale tra i poveri, proclamati beati, e i ricchi, ai quali è indirizzato il primo 'guai'. Più che giudicare o punire il loro atteggiamento, Gesù intende metterli in guardia circa il pericolo della ricchezza, che nella visione di Luca è sempre iniqua, disonesta. Lo è perché non mantiene la parola data; ci fa balenare davanti agli occhi una promessa di felicità che non riuscirà a realizzare. La fame che colpirà chi ora è sazio, o il pianto che affliggerà chi ora ride, non sono da intendersi alla stregua di una sorta di castigo divino, che piomberebbe su di loro dall'alto, improvvisamente; sono piuttosto l'esito del venir meno di una promessa infondata, illusoria, come accade all'uomo che costruisce la sua casa sulla terra, senza fondamenta, anziché fondarla sulla roccia (cfr Lc 6,48-49): la casa crolla, e chi aveva riposto in essa tutta la propria gioia, si ritroverà nel pianto, nell'afflizione, senza ricompensa e senza consolazione. È  significativo che tanto in Matteo, il Discorso della montagna, quanto in Luca, il Discorso della pianura, si aprano con le beatitudini e si concludano con la parabola dei due costruttori. La beatitudine appartiene a chi costruisce la sua vita sulla roccia della confidenza nel Signore; i guai ammoniscono invece circa il pericolo che si corre costruendo la propria vita sulla sabbia. Costruisce sulla sabbia  chi ripone in se stesso la propria fiducia e il proprio sostegno, «allontanando il suo cuore dal Signore» (cfr Ger 17,5-7).
Dall’esperienza Carmelitana: s.,Teresa di Lisieux
«Gesù che,  ai tempi della sua vita terrena, esclamava in un impeto di gioia: "Padre mio, ti benedico perché hai  nascosto queste cose ai saggi e ai potenti, e le hai rivelate ai più piccoli!", voleva far rifulgere in  me la sua misericordia; perché ero piccola e debole si abbassava verso me, m'istruiva in segreto  delle cose del suo amore. Ah, se i sapienti, dopo aver passato la loro vita negli studi, fossero  venuti a interrogarmi, senza dubbio sarebbero rimasti meravigliati vedendo una fanciulla di  quattordici anni capire i segreti della perfezione, segreti che tutta la loro scienza non può scoprire,  poiché per possederli bisogna essere poveri di spirito!» (MA 141)
Orazione finale
Vogliamo essere poveri come te, Gesù. Non vogliamo avere fiducia in noi stessi, nelle nostre risorse, nelle nostre qualità, nelle ricchezze di nessun tipo, perché allora fonderemo la nostra vita sulla sabbia, e ci troveremo nell’infelicità eterna. Preferiamo seguire i tuoi passi e riporre tutta la nostra fiducia nell’amore del Padre tuo e nostro, vivendo come bambini tra le sue braccia, sicuri della sua fedeltà indefettibile.,Come Maria, vogliamo appoggiarci sull’onnipotenza di Colui che ti ha fatto risorgere dai morti, perché ama appassionatamente la vita di tutti. Amen.

venerdì 5 febbraio 2010

LECTIO DIVINA: 5ª Dom. Tempo Ordinario C




Orazione iniziale
Con i primi discepoli del Signore, scelti tra gli umili e i poveri, è iniziata la corsa della Parola di salvezza in tutto il mondo. Perché questa corsa mai si arresti, deve compiersi anzitutto nel cuore di ogni credente, dando i frutti di una vita santa e tutta dedita al servizio del Vangelo.
Padre mio, ora la tua Parola è qui! Si è levata come sole dopo una notte buia, vuota e solitaria: quando manca lei, è sempre così, lo so. Dal mare, ti prego, soffi il dolce vento dello Spirito Santo e mi raccolga, mi accompagni a Cristo, tua Parola vivente: Lui voglio ascoltare e seguire. Amen.

Prima lettura: Is 6,1-2.3-8
Comunemente questa pagina di Isaia è compresa come racconto vocazionale del profeta. Isaia si trova nel tempio. Durante una celebrazione cultuale, si verifica una esperienza decisiva per la sua vita e per la stessa tradizione biblica. Possiamo dire che, questo brano illustra bene il testo evangelico. In ambedue le pagine bibliche, infatti, troviamo elementi simili che caratterizzano una vocazione divina: una manifestazione del Dio santo a una persona privilegiata (Is 6,1ss = Lc 5,6ss); la reazione di timore religioso da parte dei testimoni di tale teofania, perché si riconoscono peccatori (Is 6,5=Lc 5,8s); la purificazione del profeta perché cessi di aver paura (Is 6,6-7); l’invito del Signore a Simone di non temere (Lc 5,10) e l’abilitazione alla missione (Is 6,8-9 = 5,10).

Seconda lettura: 1Cor 15, 1-11
Questo brano contiene il kerygma primitivo e il documento letterario più arcaico del NT, perché ci porta all’anno della conversione di Saulo, allorché questi ricevette dalla chiesa gli elementi essenziali del credo cristiano (v. 3).Tale kerygma presenta il mistero pasquale: morte, sepoltura e risurrezione di Cristo. Al v. 8 Paolo classifica l’apparizione del Risorto a lui sulla via di Damasco, all’ultimo posto, sebbene abbia la stessa importanza storico-teologica che per gli altri apostoli, con un espressione di disprezzo: “…come a un aborto” che probabilmente veniva da parte dei suoi nemici, e indicherebbe il modo in cui egli è diventato credente. La sua vocazione avvenuta in un modo forzato e violento, come la nascita di un feto abortivo, si differenzia da quella degli altri apostoli che sono stati alla scuola di Gesù per circa tre anni, maturando lentamente la loro fede in lui. Inoltre ai vv 9-11, Paolo coglie l’occasione per professare la sua indegnità perché prima ha perseguitato la Chiesa, e per attribuire tutto alla grazia di Dio. Infatti, nel v. 9 si esprime ciò che Paolo era per natura (negatività): “infimo…non degno…persecutore della Chiesa; e nel v. 10 ciò che è diventato per grazia di Dio (positività). Riconoscente per questo, Paolo lo ribadisce spesso nelle sue lettere cfr Gal 1,13-24; 1Tim 1,15-16.

Vangelo: Lc 5,1-15
a. Presentazione del testo
Gesù si trova ancora in Galilea, precisamente presso il lago di Genezaret e davanti a lui sta una grande folla, desiderosa di ascoltare la Parola di Dio. La folla è molto colpita da questo rabbi somigliante a un profeta, perché dotato di un autorevolezza straordinaria, ben diversa da quella degli scribi (cf. Mc 1,22; Lc 4,32). Gesù, per poter meglio essere udito, ricorre a un piccolo accorgimento pratico: vedendo due barche ormeggiate sulla riva del lago, chiede al proprietario di una di esse, Simone, di scostare leggermente la sua da terra; poi, sedutosi su di essa, riprende a insegnare a quelli che si trovano sulla riva. Terminata quella predicazione, Gesù si rivolge a Simone, iniziando con lui un dialogo che segnerà per sempre la vita di quest’uomo e quella dei suoi compagni.
b. Spiegazione del testo:
vv. 1-3: “salì su una barca che era di Pietro..e gli disse scostati un po’ da terra..”: Gesù scegliendo la barca di Pietro rivela l’unicità e irripetibilità di Pietro chiedendogli di uscire dall’anonimato, dalla folla. Questa barca è anche figura della chiesa, piccola comunità che galleggia sull’abisso e compie l’esodo. Essa è già il punto di arrivo della missione di Gesù; per questo si siede e da lì si rivolge agli altri che ancora stanno sulla riva, “sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle”: Mentre sulla riva era in piedi per andare altrove, qui è solennemente seduto e insegna. Come un Maestro e come un prode, lui siede sulle acque e le domina e di lì offre la sua salvezza, che nasce dalla Parola, ascoltata e accolta.
vv. 4-6: “prendi il largo e calate le reti per la pesca”: È una richiesta che appare insensata, perché Simone e i suoi compagni hanno faticato tutta la notte precedente senza pescare nulla e per di più sanno bene che si pesca poco in pieno giorno… Eppure Simone mette da parte le sue certezze e risponde senza indugio: «Sulla tua parola getterò le reti!». È un’affermazione straordinaria, che esprime l’essenziale della fede cristiana: un’adesione fiduciosa e profonda a Gesù, un’obbedienza alla sua parola, fondamento ben più saldo di ogni nostro pensiero o sentimento. «Avendo fatto questo, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano». Insomma, Gesù invita alla pesca e Pietro si fida, crede alla Parola del Maestro. Per fede prende il largo e getta le sue reti; per questa stesa fede la pesca è sovrabbondante, è miracolosa.
v.7: “fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli”L’incontro con Gesù non è mai chiuso, ma spinge sempre alla comunicazione, alla condivisione: il dono, infatti, è troppo grande e incontenibile per uno solo. Pietro chiama i compagni dell’altra barca e il dono raddoppia, continuamente cresce.
vv. 8-11: Al vedere questo, Pietro si inginocchia davanti a Gesù, lo adora e riconosce il suo peccato, la sua incapacità, ma Lui lo chiama, con quello stesso tuono che ha sconvolto le acque di tanti mari, lungo tutta la Scrittura: “Non temere!”. Dio si rivela e si fa compagno dell’uomo. Pietro accetta la missione di trarre fuori gli uomini, suoi fratelli, dal mare del mondo e del peccato, così come è stato tratto fuori lui; lascia la barca, le reti, i pesci e segue Gesù, insieme ai suoi compagni.
“Signore, allontanati da me che sono un peccatore”: È la stessa esperienza di Isaia che, di fronte alla santità di Dio, non può fare a meno di esclamare: «Povero me, uomo impuro che ha visto il Signore!» (cf. Is 6,5). Sì, l’autentico incontro con Dio e con Gesù Cristo – colui che ci ha narrato definitivamente Dio (cf. Gv 1,18), coincide con lo svelamento all’uomo della propria condizione di peccatore, ossia con la scoperta dell’abissale distanza che lo separa dal Signore, con la consapevolezza di non essere santo… È a partire dalla presa di coscienza di tale distanza, colmata dall’amore preveniente del Signore, che si apre la possibilità di un vero cammino di conversione e di vita nuova; non è un caso che solo ora Simone sia chiamato anche Pietro, nome assegnatogli da Gesù per indicare il suo compito di essere la roccia su cui fondare la comunità (cf. Lc 6,14).
«Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Alla vocazione segue immediatamente una precisa missione. Infatti, Pietro vede trasfigurata la propria esistenza e Gesù gli affida una nuova missione: da pescatore di pesci deve diventare pescatore di persone, capace cioè di condurre uomini e donne al Signore. E questa promessa gli viene rivolta proprio mentre egli confessa la propria inadeguatezza, a riprova di come solo grazie all’adesione al Signore egli potrà scacciare ogni paura e compiere ciò che alle sue forze sarebbe impossibile. Certo, Pietro smentirà a più riprese la fedeltà al Signore Gesù e giungerà fino a misconoscerlo per tre volte; ma anche allora, nel pianto, sarà capace di pentirsi (cf. Lc 22,54-62) e ravvedutosi sempre per volontà del Signore (cf. Lc 22,32) tornerà a confermare i suoi fratelli.
“Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguivano”. Il racconto si conclude con un’annotazione che, nella sua brevità, può riassumere il senso di un’intera vita: Quegli uomini che dicono «sì» a Gesù e lo seguono, fanno questo al prezzo di una scelta che comporta dei «no» chiari e netti: essi devono rinunciare al loro lavoro professionale, le loro barche, le reti, i pesci e in più devono abbandonare la famiglia e la casa (cf. Lc 18,29). Queste rinunce però hanno un senso a patto che non vengano vissute con l’atteggiamento di schiavi costretti a portare un peso schiacciante; no, esse possono essere assunte in profondità solo da chi accetta liberamente di non anteporre nulla all’amore di Cristo, di «stare con lui» (cf. Mc 3,14) nella certezza che «il suo amore vale più della vita» (cf. Sal 63,4). È stato così per Pietro, Giacomo, Giovanni e tanti altri nel corso della storia; può essere così anche per noi, oggi.
Infine, è importante notare che la chiamata di Dio non è esclusiva di alcuni (preti, religiosi, religiose) ma, è rivolta a tutti i battezzati. Ciascuno di noi è invitato a “faticare” per la salvezza dei fratelli, secondo la bella espressione di Paolo “…sorretti dalla grazia di Dio che è con noi” (1Cor 15,10). Dovremmo chiederci perciò se il nostro “faticare” è conseguenza di un nostro lasciarci affascinare, come i discepoli e Pietro, da Gesù Cristo e dalla su preoccupazione centrale. Il resto può essere attivismo o mera ricerca della propria soddisfazione, e non può essere fecondo. Solo tornando spesso a riattivare il fuoco nel nostro contatto con lui, potremmo anche noi andare verso gli altri, come Paolo, portando loro il grande annuncio della resurrezione, che è vittoria della vita sulla morte.

Dall’esperienza Carmelitana: Santa Teresa di Lisieux
«Questo, proprio questo il mistero della mia vocazione, della mia vita tutta, e in particolare il mistero dei privilegi di Gesù sull'anima mia. Gesù non chiama quelli che sono degni, bensì chi vuole lui, o, come dice san Paolo: "Dio ha pietà di chi vuole lui, ed usa misericordia a chi vuole lui. Non è dunque opera di chi voglia né di chi corra, bensì di Dio che usa misericordia" ( Rom.9, 15-16). Per tanto tempo mi sono chiesta perché Dio abbia delle preferenze, perché tutte le anime non ricevano grazie in grado uguale, mi meravigliavo perché prodiga favori straordinari a Santi che l'hanno offeso, come san Paolo, sant'Agostino, e perché, direi quasi, li costringe a ricevere il suo dono. Ma Gesù mi ha istruita riguardo a questo mistero. Mi ha messo dinanzi agli occhi il libro della natura, ed ho capito che tutti i fiori della creazione sono belli, le rose magnifiche e i gigli bianchissimi non rubano il profumo alla viola, o la semplicità incantevole alla pratolina... Se tutti i fiori piccini volessero essere rose, la natura perderebbe la sua veste di primavera, i campi non sarebbero più smaltati di infiorescenze. Così è nel mondo delle anime, che è il giardino di Gesù. Dio ha voluto creare i grandi Santi, che possono essere paragonati ai gigli ed alle rose; ma ne ha creati anche di più piccoli, e questi si debbono contentare d'essere margherite o violette, destinate a rallegrare lo sguardo del Signore quand'egli si degna d'abbassarlo. La perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell'essere come vuole lui.» (MA, 3-5)

Orazione finale
Signore, tu hai aperto il mare e sei venuto fino a me; tu hai spezzato la notte e hai inaugurato per la mia vita un giorno nuovo! Tu mi hai rivolto la tua Parola e mi hai toccato il cuore; mi hai fatto salire con te sulla barca e mi hai portato al largo. Signore, Tu hai fatto cose grandi! Ti lodo, ti benedico e ti ringrazio, nella tua Parola, nel tuo Figlio Gesù e nello Spirito Santo. Portami sempre al largo, con te, dentro di te e tu in me, per gettare reti e reti di amore, di amicizia, di condivisione, di ricerca insieme del tuo volto e del tuo regno già su questa terra. Signore, sono peccatore, lo so!, ma anche per questo ti ringrazio, perché tu non sei venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori e io ascolto la tua voce e ti seguo. Ecco, Padre, lascio tutto e vengo con te…

mercoledì 3 febbraio 2010

Inaugurazione della Nuova Comunità delle Suore Carmelitane Missionarie di S. Teresa del Bambino Gesù a Ispica (30 Gennaio 2010)

In occasione del 133º compleanno di nascita della nostra fondatrice Beata Madre Crocifissa, quest’anno c’è stato un evento di grazia tutto speciale e molto significativo per la storia della nostra Congregazione. Finalmente, dopo circa 100 anni, la Beata M. Crocifissa nella persona delle sue figlie spirituali trova la casa nel suo paese natale dove ha trascorso i primissimi anni della sua vita e dove ha sentito e ha accolto l’aspirazione del grande ideale di riunirsi con alcune compagne e far rifiorire il Carmelo nel suo paese e in molti altri.
Per l’inaugurazione di questa nuova e speciale presenza della Beata M. Crocifissa nel suo paese, è stata celebrata la solenne liturgia eucaristica presieduta da sua eccellenza mons. Antonio Staglianò Vescovo della diocesi di Noto e hanno concelebrato i diversi parroci e i sacerdoti della diocesi.
Era stata presente la nostra Superiora generale, sr M. Madalena Tada, la consigliera generale sr M. Lilian Kapongo, la superiora provinciale sr M. Angela Elefante, tutte le superiore delle diverse comunità della provincia Maria Madre del Carmelo e le sorelle che delle comunità vicine. Erano presenti le autorità civili guidate dal Sindaco di Ispica e numerosi fedeli della città di Ispica e dintorni.
Dopo la celebrazione Eucaristica è seguita la processione con Gesù eucaristico verso la nuova casa dove il vescovo ha impartito la benedizione e ha conservato l’eucaristia nel tabernacolo della nuova cappella delle suore.
Si potrebbero riassumere così i vari messaggi di ringraziamento, di gioia e di aspettative che sono stati espressi in molteplici modi dalle autorità ecclesiastiche, civili e da molte persone:
Prima di tutto c’è stato quasi un ritornello di un caloroso e gioioso “benvenuto, bentornata a casa, Madre Crocifissa, nostra concittadina, nella persona delle tue figlie spirituali”. Poi un grande desiderio di riconciliarsi con la storia che per tanti anni ha visto la Beata M. Crocifissa fuori da Ispica, si diceva che “Da oggi non si può più parlare di rifiuto della Beata M. Crocifissa nella sua patria, ma di un’ accoglienza e di una presenza molto esemplare per tutto il paese”. Lei è una figura che richiama alla comunione di tutti gli ispicesi, non ci sono barriere e quindi anche le sue figlie che oggi sono accolte gioiosamente, dovrebbero inserirsi in questa prospettiva di comunione, la loro presenza non dovrebbe essere legata ad una sola parrocchia o gruppo ecclesiale, ma deve essere sentita da tutti perché la Beata M. Crocifissa è di tutti. Inoltre si è sentito molto il desiderio di sperimentare le parole profetiche della beata M. Crocifissa: “Far rifiorire il Carmelo nel suo paese”. Che non basta soltanto questo ritorno in patria, ma far sentire a tutti: bambini, giovani, famiglie ecc i valori della spiritualità carmelitana soprattutto nel Cuore di Gesù Eucaristico come modo specifico della Beata M. Crocifissa di vivere alla presenza di Dio come insegna la tradizione spirituale carmelitana.
Auguriamo alle quattro sorelle che formano la nuova comunità di Ispica: sr M. Carla Zaccaria, sr M. Giacomina Macauda, sr M. Giuseppina Campanella e sr M. Patrizia Piquero, un buon inizio di questa missione sostenute dalle nostre preghiera a Dio per intercessione della beata Vergine Maria del monte Carmelo, di S.Teresa del Bambino Gesù e della Beata M. Crocifissa e padre Lorenzo.
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Para marcar o 133o aniversário do nascimento da nossa fundadora Beata Madre Crocifissa, este ano aconteceu em um momento de graça muito especial e muito importante para a história da nossa congregação. Finalmente, depois de mais ou menos 100 anos, a Beata M. Crucifissa na pessoa de suas filhas espirituais encontra a casa em sua cidade natal, onde passou os primeiros anos de sua vida e onde ele ouviu e acolheu a aspiração do grande ideal para se reunir com alguns companheiras e para prosperar em seu país e no
Carmelo em muitos outros.
Para a inauguração desta nova e especial presença da Beata M. Crucifissa no seu país, foi celebrada a solene Liturgia Eucarística presidida por Sua Excelência Mons. Antonio Stagliano Bispo da Diocese de Noto e os outros sacerdotes concelebrantes da diocese.
Participaram a nossa Superiora Geral, Ir. M. Madalena Tada, Conselheira Geral Ir M.Lilian Kaponga, a Superiora Provincial Ir. Angela Elefante, as superioras das diversas comunidades da província da Mãe Maria do Carmo e irmãs das comunidades vizinhas. Estiveram presentes autoridades civis, o prefeito de Ispica e muitos fiéis de Ispica e próximo da cidade.
Após a celebração eucarística, aconteceu a procissão com Jesus na Eucaristia, para a nova casa, o bispo deu a bênção e manteve a Eucaristia no sacrario da nova capela das irmãs.
Poderíamos assim resumir a mensagem de gratidão, de alegria e expectativas que foram expressas de diversas maneiras pelas autoridades eclesiásticas, civis e por muitas pessoas:
Primeiro, houve quase um refrão de uma casa acolhedora e alegre bem-vindos, bem-vindo, Mãe da Cruz, os nossos concidadãos, na pessoa de suas filhas espirituais ". Em seguida, um grande desejo de se reconciliar com a história que durante tantos anos tem visto a Beata M. Crucificado fora Ispica, foi dito que "A partir de hoje já não podemos falar de rejeição da M. Beata Crucifissa na sua pátria, mas um "bem-vindas e uma presença muito exemplar em todo o país."
Ela é uma figura que lembra a comunhão de todas em Ispica, não existem barreiras e, portanto, suas filhas, que agora estamos felizes devemos inserir nesta pespectiva de comunhao assumindo uma presença ampla, não deve estar ligado a uma paróquia ou grupo Igreja, mas deve ser sentida por todos, porque a M. Beata Crucifissa è de todos.
Além disso, sente-se muito o desejo de experimentar as palavras proféticas da Beata M. Crucifissa: "Fazer reflorescer o Carmelo em seu país." Só este retorno não é suficiente, mas fazer com que todos: crianças, jovens, famílias e sobretudo os valores da espiritualidade carmelita, especialmente do Coração Eucarístico de Jesus, como especifico da Beata M. Crucifissa para viver na presença de Deus como ensina a tradição espiritual do Carmelo.
Parabenizamos as quatro irmãs que formam a nova comunidade de Ispica: sr M. Carla Zaccaria, sr M. Giacomina Macauda, sr M. Giuseppina Campanella e sr M. Patrizia Piquero, e desejamos um bom inicio para essa missão, apoiadas pela nossa oração a Deus, por intercessão da Bem-Aventurada Virgem Maria do Monte Carmelo, Santa Teresinha de Lisieux e Bem M. Crucificado e Padre Lourenço.
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In this year, the 133rd birthdate anniversary of our foundress, Blessed Maria Crocifissa Curcio,was marked by a very significant event: the presence of a new community. This is a very special and meaningful one, for us in the history of our congregation. Finally, after about 100 years, in the person of her spiritual daughters, the Blessed Maria Crocifissa Curcio, revived in her homeland, in her hometown where she spent in the first few years of her life, and where she heard and welcomed the aspiration of the great ideal and mission that is “ to joined together with some companions in order to let flourish Carmel in her country and in many others”.
In the highlighted inauguration, the solemn Eucharistic Liturgy celebration was presided over by His Excellency Msgr. Antonio Staglianò Bishop of the Diocese of Noto, concelebrated by many priests of the diocese. There were also a joyous partecipation of our Superior General: Sr. M. Madalena Tada, General Councilor: Sr. Lilian Kapongo, the Provincial Superior: Sr. Angela Elefante, and all other superiors from the different communities of the province: Maria Madre del Carmelo and some sisters of the neighboring communities. In the occasion we were honored also by the presence of the civil authorities led by the Mayor of Ispica and some faithful persons from Ispica and many others from the nearby city. After the Eucharistic celebration, the event was followed by the procession with “Jesus in the Eucharist” going to the new home, where the bishop gave the blessing and has kept the Blessed Eucharist in the tabernacle of the sister’s new chapel. A grand blessings, that one could expressed messages of gratitude, joy and expectations that were manifested in various ways by the ecclesiastical authorities, civilians and many other people: First there was almost a refrain of a warm and felt joyous welcome, “welcome home, Mother Crocifissa - our fellow citizen: in the person of your spiritual daughters!." Then it was followed by remembering back with the absence story of the Blessed M. Crocifissa from her homeland, that was felt for so many years, as it is recalled and seen through her spiritual daughters living only outside from Ispica, it was then said that "From now on, we can no longer speak of rejection to the Blessed M. Crocifissa in her homeland, but a 'welcome and this is a start of a very exemplary presence throughout the land. " She is a figure that recalls the communion of all Ispica, there are no barriers and therefore her daughters who are now happily accepted, should be a part of this vision of communion, their presence should not be tied up only to a single parish or Church group, but must be felt by everybody, because the Blessed M. Crocifissa is for the unity of all. Furthermore, the desire to experience the prophetic words of the Blessed M. Crocifissa: "That Carmel May Bloom in her country." Only this return is not enough, but there is a need to excert more efforts to make everyone: children, youth, families and so on to live the values of Carmelite spirituality especially in the Eucharistic Heart of Jesus as the Blessed M. Crocifissa live in the presence of God and as she taught by the spiritual tradition of Carmel.

“...Este tesouro, o trazemos em vasos de barro...”



No dia 30 de janeiro de 2010, festa do natalício de nossa Fundadora Beata Maria Crucifixa, a Província Santa Teresa de Lisieux alegrou-se com a Primeira Profissão religiosa das noviças: Albuína Maria Romão da Silva, Iris Daniela de Castro e Lucenir Macedo Costa. Durante a Celebração Eucarística presidida pelo Exm. Arcebispo de Uberaba, Dom Aloísio Roque Opperman e diante de várias irmãs da Província, Padres, Religiosos, formandas, familiares e amigos, as noviças professaram os votos nas mãos da Superiora Provincial Irmã Vanilda da Silva Rocha, dando o seu sim a Deus e comprometendo-se a viver a missão da Igreja como Carmelita Missionária de Santa Teresa do Menino Jesus. A partir do Rito da Profissão Religiosa e do lema escolhido pelas professandas “Todavia esse tesouro, nós o levamos em vasos de barro, para que todos reconheçam que esse incomparável poder pertence a Deus e não é propriedade nossa.“(IICor. 4,7) vivemos um momento de fé e esperança no Deus que continua chamando jovens para serem testemunhas do Reino na vida consagrada. Na véspera aconteceu o tríduo, em preparação para profissão, foi um momento significativo de oração agradecendo a Deus a vida e a vocação da três jovens e de rezar pela vida Consagrada. Com muita alegria e generosidade estas três jovens decidiram entregar a sua vida a Deus vivendo o carisma Carmelita Missionário na pobreza, castidade e obediência. Parabenizamos as Irmãs: Albuína, Íris e Lucenir pela sua consagração e pedimos a Deus que abençoe e torne fecundo o seu trabalho e a missão de Religiosa e recorremos à intercessão da Beata Maria Crucifixa para que vivam com amor e fidelidade o carisma dela herdado.


“...Noi portiamo questo Tesoro in vasi di argilla”…
Il 30 gennaio 2010, anniversario della nascita della nostra fondatrice, la Beata Maria Crocifissa Curcio, nella Provincia Santa Teresa di Lisieux ha avuto la gioia della Professione religiosa temporanea delle tre novizie: Albuína Maria Romão da Silva, Iris Daniela de Castro e Lucenir Macedo Costa. Durante la celebrazione eucaristica, presieduta da sua Ecc. mons. Aloísio Roque Opperman, Arcivescovo di Uberaba, alla presenza di molte sorelle della Provincia, dei Padri, Religiosi, delle formande, dei familiari e amici, le novizie hanno emesso i loro voti nelle mani della Superiora provinciale suor Vanilda da Silva Rocha, donando se stesse a Dio, con l’impegno di vivere la Missione della Chiesa come Carmelitane Missionarie di S. Teresa del B. Gesù.
A partire dal Rito della Professione religiosa e dal tema scelto dalle candidate “Tuttavia questo tesoro, noi lo portiamo in vasi di argilla perché tutti riconosciamo che esso è incomparabile proprietà di Dio e non di nostra proprietà (2Cor. 4,7). Viviamo un momento di fede e di speranza, Dio continua a chiamare le giovani per essere testimoni del Regno nella vita consacrata.
Durante il Vespro celebrato nel triduo in preparazione alla professione, c’ è stato un momento significativo di preghiera di ringraziamento a Dio per la vita e per la vocazione delle tre giovani e la preghiera per la vita Consacrata.
Auguriamo alle neo professe che hanno deciso di consegnare la loro vita a Dio di vivere il carisma carmelitano missionario nella povertà, castità e obbedienza con molta gioia e generosità e chiediamo a Dio che benedica e renda fecondo il loro lavoro e la loro missione con l’intercessione della Beata Maria Crocifissa.


“…We carry this treasure in jars of clay”
On January 30, 2010, birthdate Anniversary of our foundress Blessed Maria Crocifissa Curcio, in the “Province S. Therese of Lisieux” , Brasile, the three Novices : Albuína Maria Romão da Silva, Iris Daniela de Castro and Lucenir Macedo Costa, with great joy have given their Religious temporary vows in the hands of the provincial superior sr. Vanilda da Silva Rocha. During the Eucaristic Mass celebration presided by her Exellence mons. Aloísio Roque Opperman, Arch-bishop of Uberaba, and with the presence of a lot of sisters from the province, priest, religious, formandys, family relatives and friends, they have committed in giving their selves to God, with the desire to excercise an effort, in order to live the mission in the Church, such as Carmelite Missionary Sisters of St. Therese of the Child Jesus.
From the Rite of Religious Profession and the theme chosen by the candidate, "But this treasure, we will bring in clay pots, because we recognize that they are from God and not our own property (2Cor4:7)”. We live in a moment of faith and hope, God continues to call us, young women to be witnesses in the kingdom in the consecrated life. During the Vespers, celebrated in the Triduum, in preparation for their Religious profession, there was a meaningful time of prayer, for thanksgiving to God for the gift of life, for the grace of their vocation and also prayers for the consecrated life.
With great joy and generosity they lifted their thanks in embracing and surrendering their lives to God by choosing to live the charism of the Carmelite Missionary in poverty, chastity and obedience. To our dearly newly professed, we wish God's blessings to be fruitful in your work and mission, we also ask to the intercession of the Blessed Maria Crocifissa Curcio, that you may live with love and fidelity to the inherited charism.