venerdì 12 febbraio 2010

LECTIO DIVINA: 6ª Dom. Tempo Ordinario C



Orazione iniziale
O Dio che con il dono del tuo Spirito guidi i credenti alla piena luce della verità, donaci di gustare nel tuo Spirito la vera sapienza e di godere sempre la gioia del tuo Regno, già presente in mezzo a noi, per Cristo nostro Signore Amen.
Prima lettura: Geremia 17,5-8
Il brano ci presenta le persone “benedette” in contrapposizione ad altre “maledette”; per il profeta le une sono coloro che confidano nel Signore e ripongono in lui la loro fiducia; mentre le altre (le maledette) sono coloro che confidano nell’uomo e pongono nella carne il loro sostegno. Infatti, i vv 5-11 rilevano il popolo di Israele che si  fida degli uomini, dell’intelligenza (“cuore”) e delle ricchezze. Ma l’uomo è “carne” fragile e imperfetta (cfr Is 40,6), il cuore fallace, le ricchezze effimere; farne il punto di riferimento esistenziale, manda allo sbando senza rimedio.  Quindi, Il contrasto tra l’uomo maledetto e quello benedetto è formulato a partire dal fondamento della loro “fiducia”: nell’essere umano o in  JHWH. In modo analogo alle “beatitudini” e ai “guai” del Vangelo di Luca, anche il brano profetico offre la motivazione di tale diversa situazione: l’avvenire dell’uomo che confida e si abbandona in Dio è prospero e senza preoccupazioni, egli somiglia all’albero rigoglioso che produce sempre frutti e non teme la siccità, perché piantato lungo il fiume (v.8),; al contrario l’uomo maledetto presto inaridirà, sarà sempre sterile e seccherà (v.6; fr anche il Sal 1)
Seconda lettura: 1Cor 15, 12.16-20
La pericope presenta i passi significativi dell’argomentazione di Paolo per dimostrare la verità della risurrezione dei morti, il credo cristiano che non ha avuto sempre facile accoglienza (cf. At 17,32;26,24). Nel brano immediatamente precedente,l’apostolo si è appellato alle prove storiche, ai testimoni, cioè, della risurrezione di Gesù (vv. 3-11), ora fa ricorso anche alle ragioni teologiche. La risurrezione è la garanzia unica ed esclusiva non tanto della credibilità di Gesù Cristo, quanto della validità della sua missione ovvero della sua azione redentiva. Se egli non fosse risorto, non solo non avrebbe dato la giusta prova di quello che aveva predicato, ma non avrebbe dimostrato e avviato il processo di rigenerazione e di rinascita di quelli che muoiono. Se ciò fosse vero ,non ci sarebbe futuro, non ci sarebbe speranza di una vita nuova in quelli che hanno chiuso l'esperienza terrestre. L'argomentazione di Paolo concepisce la morte di Cristo come un sacrificio di espiazione per i peccati dell'umanità. La risurrezione prova che Gesù è entrato nel mondo di Dio, quindi ha offerto al Padre il risarcimento che aspettava dagli uomini e da lì ora attende quelli che hanno creduto in lui. È evidente che se non fosse risorto, né lui né i suoi seguaci sarebbero mai entrati nel regno della vita, non sarebbero quindi salvi. La risurrezione è, si può dire, un termine convenzionale, equivalente a continuità nell'esistenza. Gesù risorto significa che egli vive, non è nel regno dei morti, ma dei vivi. Solo che è un trapasso senza prove, senza verifiche; si può accettare affidandosi alla parola di Dio trasmessa da Gesù Cristo.
   Gesù è la primizia dei dormienti (v. 20), il primogenito tra molti fratelli (Rom 8,29), ma se non si è verificato in lui il trapasso alla nuova vita, non si verificherà in nessuno, nemmeno in quelli che vivono con tale fede in lui. Anzi questi che coltivano tali illusioni, accanto a privazioni e sacrifici di ogni genere, sono alla fine da compiangere più degli altri. L'apostolo nemmeno accetta queste supposizioni e chiude ogni possibile riserva riaffermando categoricamente la sua fede nella risurrezione (v. 20).
Terza lettura: Lc 6,17.20-26    
a. Presentazione del testo       
    Il brano di Lc 6,20-26 è parallelo a Mt 5,1-12, con un gioco delle somiglianze e differenze. L'ambientazione, infatti, è diversa. Matteo fa parlare Gesù dall'alto di un monte, che simbolicamente evoca il Sinai, il monte su cui Mosè riceve le Dieci parole dell'Alleanza. Luca, invece, introduce il discorso precisando che Gesù, disceso con i Dodici, «si fermò in un luogo pianeggiante» (v. 17). I versetti precedenti di questo sesto capitolo, narrano che Gesù si era recato sul monte a pregare, e dopo aver passato tutta la notte in preghiera, chiama a sé i discepoli scegliendone dodici, «ai quali diede anche il nome di apostoli» (v. 13). Il primo frutto della preghiera di Gesù sembra, dunque, essere la cosiddetta istituzione dei Dodici. Anche il Discorso della pianura che coinvolge sia i discepoli, sia una gran moltitudine di gente, proveniente da diverse parti, pare, nella trama narrativa che l'evangelista intesse, affondare le sue radici in questa notte di preghiera solitaria.

v.17: “e disceso insieme con loro, stette in un luogo pianeggiante”
A differenza di Matteo, Luca fa “scendere Gesù” dal monte, come Mosè, per portare al popolo la nuova legge. É la condiscendenza di Dio verso quel popolo che non poteva salire a lui (cfr Es 19,12s).
 Il suo discorso è “in un luogo pianeggiante”: umile e modesto come tutta la rivelazione di Dio in Gesù.  Con il simbolo spaziale della 'discesa', Luca sembra suggerirci che le beatitudini che oggi ascoltiamo, sono una parola che discende verso di noi, ci raggiunge e ci consola nei molti luoghi delle nostre povertà e delle nostre afflizioni, consentendoci di gustare quella gioia e quella pienezza di vita che provengono dall'alto: da Dio.  Nella visione di Gesù, che tanto Matteo, quanto Luca ci tramandano, sia pure con accenti differenti, le beatitudini, prima ancora che essere una descrizione di come gli uomini debbano agire verso Dio e verso gli altri, sono una rivelazione del modo di essere e di agire del Padre che è nei cieli. Infatti, è lui che dona il suo regno ai poveri, che sazia chi ha fame, che consente di ridere a chi piange, che offre nella gioia e nell'esultanza una ricompensa a chi ora è odiato, insultato, disprezzato a motivo della sua fede nel Figlio dell'uomo.

Lc. 6, 20-23, Le quatro Beatitudine
* Luca 6, 20: Beati voi, poveri!  La prima beatitudine identifica la categoria sociale dei discepoli di Gesù. Loro sono poveri! E Gesù garantisce loro: “Vostro è il Regno dei cieli!” Non è una promessa che riguarda il futuro. Il verbo è al presente. Il Regno è già in  loro. Pur essendo poveri, loro sono già felici. Il Regno non è un futuro buono. Esiste già in mezzo ai poveri. Nel vangelo di Matteo, Gesù esplicita il senso e dice: "Beati i poveri in Spirito!" (Mt 5,3). Sono i poveri che hanno lo Spirito di Gesù. Perché ci sono poveri che hanno lo spirito e la mentalità dei ricchi. I discepoli di Gesù sono poveri ed hanno mentalità di poveri. Anche loro, come Gesù, non vogliono accumulare, ma assumono la loro povertà e, come Gesù, lottano per una convivenza più giusta, dove ci sia fraternità e condivisione di beni, senza discriminazione. Il programma di Gesù guarda a tutto l'uomo, al suo corpo come al suo spirito, ai rapporti con Dio ma anche con i propri simili; abbraccia tutto e tutti senza escludere nessuno, ma le sue attenzioni, quasi le sue preferenze, vanno agli umili, ai piccoli, agli indigenti, ai malati, in una parola ai «poveri», perché ne hanno più bisogno (Lc 4,18; 7,22). Il rappresentate concreto dei “poveri” per Luca è Lazzaro, il quale sta in contrapposizione con il ricco epulone (Lc 16,19ss). In questa parabola, esclusivamente lucana, troviamo l’identità antitesi del brano iniziale del discorso delle beatitudine, dove i poveri che piangono e soffrono la fame, sono contrapposti ai ricchi gaudenti ed epuloni (vv20ss). Lazzaro viveva nella miseria più nera, anzi era coperto di piaghe e desiderava sfarmarsi con gli avanzi caduti dalla tavola del ricco epulone (Lc 16,21).Quindi i “poveri” proclamati “beati” nel Vangelo di Luca sono le persone indigenti in senso socio-economico.
* Luca 6, 21: Beati voi, che ora avete fame, beati voi che ora piangete!  Nella seconda e terza beatitudine, Gesù dice: "Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati! Beati voi che ora piangete, perché riderete!" La prima parte di queste frasi è al presente, la seconda al futuro. Ciò che ora viviamo e soffriamo non è definitivo. Ciò che è definitivo sarà il Regno che stiamo costruendo oggi con la forza dello Spirito di Gesù. Costruire il Regno suppone sofferenza e persecuzione, però una cosa è certa: il Regno giungerà e “voi sarete saziati e riderete!”. Il Regno è nello stesso tempo una realtà presente e futura. La seconda beatitudine evoca il cantico di Maria: “Ha ricolmato di beni gli affamati” (Lc 1,53). La terza evoca il profeta Ezechiele che parla delle persone che “sospirano e piangono per tutti gli abomini” compiuti nella città di Gerusalemme (Ez 9,4; cf Sl 119,136).
*Luca 6, 23: Beati voi, quando gli uomini vi odieranno...rallegratevi.! In quest’ultima beatitudine Luca concorda sostanzialmente con Matteo. Il messaggio qui proposto da Gesù è davvero sconcertante, perché l’odio e le persecuzioni a causa del Figlio dell’uomo sono presentati come motivo e fonte di gioia. L’odio dei nemici del Cristo scatenerà persecuzioni contro i seguaci del Vangelo, causando la loro emarginazione dalla società (v.22). I primi testimoni del Signore Gesù furono oggetto di simili ostilità per il  “nome”, ossia a motivo del Figlio di Dio: così fu per Pietro, Paolo, Stefano e tanti altri. Per i cristiani l’ostilità non deve essere motivo di tristezza, ma di gioia, perché la loro ricompensa in cielo è molto abbondante (v,23) e perché il loro nomi sono scritti nel cielo (Lc 10,20).
Luca  6,24-26: I  quattro guai . Dopo le quattro beatitudini a favore dei poveri e degli esclusi, seguono quattro guai contro i ricchi, coloro che sono sazi, coloro che ridono o che sono lodati da tutti.  I ricchi non debbono vivere tranquilli e spensierati, ammonisce il Maestro, perché saranno esclusi dalla felicità eterna e gettati nel luogo dei tormenti, dove saranno torturati; già l’epulone ha subito tale sorte (Lc 16,23-24). I ricchi, infatti, hanno ricevuto la loro consolazione sulla terra (v.24), ossia i piaceri, i banchetti e la pazza gioia (c.25; 16,25). Costoro molto difficilmente entreranno nel regno di Dio (Lc 18,24s), perciò debbono temere lo stato di infelicità eterna nell’avvenire. (v.25).Tuttavia cogliendo il significato più profondo, i quattro guai non vanno intesi alla stregua di una minaccia, di un giudizio o peggio di un castigo. Sono piuttosto un avvertimento profetico, attraverso il quale Gesù mette in guardia coloro che ripongono la propria fiducia in se stessi e nei propri beni, come ammonisce il profeta Geremia nella   prima lettura e come ci ricorda anche il Salmo 1. Quindi, siamo posti di fronte a due vie, a due modi contrapposti di orientare la nostra esistenza: la possiamo fondare nell'attesa confidente di ciò che Dio farà per noi, realizzando la sua promessa; oppure possiamo fondarla su noi stessi e sulle nostre ricchezze. Questa è la differenza fondamentale tra i poveri, proclamati beati, e i ricchi, ai quali è indirizzato il primo 'guai'. Più che giudicare o punire il loro atteggiamento, Gesù intende metterli in guardia circa il pericolo della ricchezza, che nella visione di Luca è sempre iniqua, disonesta. Lo è perché non mantiene la parola data; ci fa balenare davanti agli occhi una promessa di felicità che non riuscirà a realizzare. La fame che colpirà chi ora è sazio, o il pianto che affliggerà chi ora ride, non sono da intendersi alla stregua di una sorta di castigo divino, che piomberebbe su di loro dall'alto, improvvisamente; sono piuttosto l'esito del venir meno di una promessa infondata, illusoria, come accade all'uomo che costruisce la sua casa sulla terra, senza fondamenta, anziché fondarla sulla roccia (cfr Lc 6,48-49): la casa crolla, e chi aveva riposto in essa tutta la propria gioia, si ritroverà nel pianto, nell'afflizione, senza ricompensa e senza consolazione. È  significativo che tanto in Matteo, il Discorso della montagna, quanto in Luca, il Discorso della pianura, si aprano con le beatitudini e si concludano con la parabola dei due costruttori. La beatitudine appartiene a chi costruisce la sua vita sulla roccia della confidenza nel Signore; i guai ammoniscono invece circa il pericolo che si corre costruendo la propria vita sulla sabbia. Costruisce sulla sabbia  chi ripone in se stesso la propria fiducia e il proprio sostegno, «allontanando il suo cuore dal Signore» (cfr Ger 17,5-7).
Dall’esperienza Carmelitana: s.,Teresa di Lisieux
«Gesù che,  ai tempi della sua vita terrena, esclamava in un impeto di gioia: "Padre mio, ti benedico perché hai  nascosto queste cose ai saggi e ai potenti, e le hai rivelate ai più piccoli!", voleva far rifulgere in  me la sua misericordia; perché ero piccola e debole si abbassava verso me, m'istruiva in segreto  delle cose del suo amore. Ah, se i sapienti, dopo aver passato la loro vita negli studi, fossero  venuti a interrogarmi, senza dubbio sarebbero rimasti meravigliati vedendo una fanciulla di  quattordici anni capire i segreti della perfezione, segreti che tutta la loro scienza non può scoprire,  poiché per possederli bisogna essere poveri di spirito!» (MA 141)
Orazione finale
Vogliamo essere poveri come te, Gesù. Non vogliamo avere fiducia in noi stessi, nelle nostre risorse, nelle nostre qualità, nelle ricchezze di nessun tipo, perché allora fonderemo la nostra vita sulla sabbia, e ci troveremo nell’infelicità eterna. Preferiamo seguire i tuoi passi e riporre tutta la nostra fiducia nell’amore del Padre tuo e nostro, vivendo come bambini tra le sue braccia, sicuri della sua fedeltà indefettibile.,Come Maria, vogliamo appoggiarci sull’onnipotenza di Colui che ti ha fatto risorgere dai morti, perché ama appassionatamente la vita di tutti. Amen.

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