giovedì 11 marzo 2010

LECTIO DIVINA, 4ª Domenica di Quaresima Anno C


Orazione iniziale
Vieni, o Spirito creatore, a svelarci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Facci vedere il gran giorno di Dio splendente di santa luce: nasce nel sangue di Cristo l’aurora di un mondo nuovo. Torna alla casa il prodigo, splende la luce al cieco; il buon ladrone graziato dissolve l’antica paura. Morendo sopra il patibolo Cristo sconfigge la morte; la morte dona la vita, l’amore vince il timore, la colpa cerca il perdono. Amen
Prima lettura Gs  5, 9a-12
Il capitolo 5 vv. 1-9, descrivono l’arrivo nella terra promessa e la circoncisione degli Israeliti e i vv. 10-15 narrano la celebrazione della Pasqua. Dopo aver attraversato il Giordano, Giosuè si preoccupa di rinnovare nel popolo il segno esterno dell’alleanza, dell’appartenenza del popolo eletto al suo Dio (Gn 17,10-14) e la condizione importante per consumare la Pasqua (Es 12,44-49). Quindi “infamia d’Egitto” (v.9) può essere un’allusione al fatto che l’epoca dell’Egitto e delle sue conseguenze è definitivamente tramontata. La circoncisione e la Pasqua di Galgala  segnano un nuovo inizio, nella libertà della terra promessa. Dio, quindi, ha mantenuto le sue promesse, facendo entrare il suo popolo nella terra che gli aveva promesso e dandogli come cibo, i frutti di questa terra; di conseguenza il popolo, ormai insediato nella terra di Canaan: “dove scorre latte e miele”, non aveva più bisogno della manna che lo aveva nutrito durante i quarant’anni del suo peregrinare nel deserto (vv.11-12).
La lettura cristiana dell’AT ha visto tale evento storico come “promessa” di qualcosa di più alto, più spirituale, più universale; l’ingresso dei popoli attraverso il battesimo nella chiesa, comunità dei redenti da Cristo, terra benedetta dove essi possono godere frutti dello Spirito. Andando oltre, in prospettiva escatologica, nel possesso e nel godimento della “terra promessa” e nella celebrazione della Pasqua in essa, la lettura cristiana ha visto e vede tuttora, la figura del compimento pieno e definitivo della salvezza nel regno eterno di Dio, quale vera patria di libertà promessa da Dio all’umanità, che, nella fede, sta compiendo il suo esodo attraverso il deserto di questo mondo.
Seconda lettura: 2Cor 5,17-21
Il testo pone in rilievo il messaggio della riconciliazione con una calda e vibrata esortazione: “lasciatevi riconciliare con Dio” (v.20). Per comprendere come Dio attui questo piano di riconciliazione, Paolo si esprime con un paradosso: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (v.21). Il senso di questa espressione, teologicamente forte e ardita, è che Dio, per così dire, ha considerato Gesù come un peccatore e lo ha come rigettato riversando su di lui la propria ira, infatti dice Paolo ai Galati:  “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi” (Gal 3,13).
Per la legge della solidarietà, Cristo, unendosi alla natura umana, in un certo qual modo si è identificato con il peccato che gli era estraneo.
Cristo, trattato da Dio come peccatore, ha consentito all’uomo di diventare “giustizia di Dio”, cioè di essere giustificato, e quindi essere accolto per grazia quale partner della sua alleanza. La giustizia di Dio che Cristo comunica agli uomini, instaura tra essi e Dio un rapporto di figliolanza e di amore analogo a quello che intercorre tra il Padre e Gesù. É necessario dunque che l’uomo accetti la riconciliazione che Dio gli offre.
Terza lettura; Lc. 15, 1-3.11-32
Il contesto
Il c.15 di Luca cade al centro dell’intera sezione del viaggio di Gesù verso Gerusalemme (9,51 -19,28). Esso contiene tre parabole sulla misericordia e sulla gioia: la pecorella smarrita (vv4-7), la dramma perduta (vv8-10) e il figlio prodigo, ovvero il Padre buono e misericordioso (vv.11-32). Luca è l’evangelista che ama sottolineare la misericordia del Maestro per i peccatori e raccontare scene di perdono (Lc 7, 36-50; 23, 39-43). Nel vangelo di Luca la misericordia di Dio si manifesta in Gesù Cristo. Il brano è comunemente conosciuta come la parabola del figlio prodigo, ma questo titolo non è centrato perché tiene conto solo di uno dei tre personaggi trascura il fratello maggiore al quale è dedicata tutta la seconda parte del racconto e, soprattutto, ignora il vero protagonista, il padre. E’ più esatto quindi parlare della “Parabola del padre misericordioso”.
Spiegazione del testo:
vv.1-3, è l’introduzione di tutte le tre parabole e ha come personaggi principali i pubblicani e i peccatori che si avvicinano a Gesù per ascoltarlo; i farisei e gli scribi che mormoravano. Riflettendo bene, già da quest’introduzione si può capire a chi e per quale ragione Gesù ha raccontato questa parabola. Non è tanto ai peccatori che egli si rivolge, ma ai giusti: “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro. Allora egli disse loro questa parabola”. Loro sono i farisei e gli scribi, gli impeccabili che stanno correndo un grosso rischio spirituale. Sono loro che sono in pericolo perché hanno falsato completamente il rapporto con Dio, non hanno capito che egli ama tutti gratuitamente e davanti a lui non si possono avanzare meriti.
vv. 11-20a Il figlio minore
Un giorno il figlio più giovane di un ricco proprietario terriero, si presenta al padre e pretende la sua parte di eredità. Il saggio Siracide sconsiglia di aderire a una simile richiesta. Direbbe al padre: “É meglio che i tuoi figli ti preghino che non rivolgerti tu alle loro mani. Solo al momento della morte assegna la tua eredità”  (Sir 33,22.24) . Ma il padre della parabola non oppone alcuna resistenza. Senza dire una parola, divide le sue sostanze tra i suoi due figli, in conformità con ciò che stabilisce la legge. Questo comportamento del padre indica il rispetto di Dio nei confronti delle scelte dell’uomo. Egli esorta, educa, consiglia, accompagna, ma lascia sempre la libertà, anche di sbagliare.
Perché il figlio minore decide di abbandonare in fretta la famiglia?
Sembra che egli veda nel padre una specie di un dominatore che impone la sua volontà e non permette di fare quello che si vuole. Gli anni della giovinezza sono pochi, passano come un soffio e si corre il pericolo di perdere le migliori occasioni e il tempo più prezioso per godersi la vita. Tuttavia è forse ingiusto pensare che le colpe siano solo sue. Tra poco conosceremo suo fratello e intuiremo subito che tipo è, come la pensa, come ragiona, come è orgoglioso della sua perfezione, della sua integrità morale, come è intollerante con chi non condivide le sue convinzioni, il suo impegno, il ritmo frenetico del suo lavoro e ci renderemo conto che vivere accanto a un tipo del genere, non è né facile né gratificante.
La meta del giovane è “un paese lontano”.
Rompe con la sua famiglia, con il suo popolo, con le tradizioni religiose della sua terra e va a stabilirsi fra i pagani, allevatori di porci, gli animali impuri per eccellenza  (Lv 11,7) . É l’immagine dell’allontanamento da Dio, del rifiuto di tutti i principi morali, della scelta di una vita dissoluta e priva di inibizioni.
Lontano dalla casa del Padre però, non ci sono la gioia e la pace. La ricerca dei piaceri, la droga, i falsi amici, le deviazioni sessuali finiscono per nauseare. Le avventure non saziano; l’uomo ha bisogno di un equilibrio interiore, altrimenti si sente “morire di fame”. La scena del ragazzo costretto a mettersi a servizio di un pagano e a custodire i suoi porci, rappresenta, in modo molto efficace, la condizione disperata e la degradazione cui giunge chi si allontana da Dio. Dicevano i rabbini: “É maledetto l’uomo che alleva porci”.
Rientrare in se stessa e ascoltare profondamenti
L’esperienza della delusione è provvidenziale, fa cadere in se stessi. Dicevano ancora i rabbini: “Quando gli israeliti sono costretti a mangiare carrube, si convertono”. In queste condizioni, il giovane rientra in se stesso e comincia a riflettere sulla sua situazione e su ciò che ha perso andando via dalla casa di suo padre. Interessante notare l’uso del verbo “ascoltare”, già rilevato all’inizio nell’atteggiamento dei pubblicani e dei peccatori che si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo, richiama anche la scena di Maria sorella di Marta, “la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola” (Lc 10, 39); oppure alle folle che “erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie” (Lc 6, 18). Gesù riconosce i suoi parenti, non dal legame sanguineo, ma da questo atteggiamento di ascolto: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8, 21). Luca sembra dare importanza a questo atteggiamento. Maria, la Madre di Gesù, è lodata per questo atteggiamento di ascolto contemplativo, lei che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19, 51). Elisabetta la proclama beata perché “ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1, 45), rivelate nella scena dell’annunciazione (Lc 1, 26-38).
Il ritorno al padre
Dopo questo ascolto profondo,  il giovane avverte il dover di dire a se stesso: è bene che io torni da mio padre e gli comunichi i risultati della mia esperienza; mostri cosa è accaduto in me in questo periodo; è bene che io riavvii un rapporto interpersonale sereno e più maturo. La decisione è presa, ispirata a sicurezza e fiducia, il giovane ha già cambiato il suo modo di vedere il padre.
vv. 20b-24: L’accoglienza piena di amore e di gioia da parte del padre
Quando era ancora lontano il padre, lo vide, commosso, scese e gli corse incontro, gli si gettò al collo, lo baciò.  Il padre non dice una parola; la sua reazione di fronte al figlio che ritorna, è descritta con cinque verbi che da soli bastano a far considerare questo versetto come uno dei più belli di tutta la Bibbia.
- Lo vide da lontano. Il padre vede da lontano, dalla torre di guardia da dove da sempre sta scrutando l’orizzonte, in attesa del suo ritorno.
- Si sentì sconvolgere le viscere. Il verbo greco splagknizomai indica una commozione così intensa e profonda da essere percepita anche fisicamente nelle “viscere”. É il sentimento che una madre prova nei confronti del figlio che porta in grembo. Non si può immaginare un’emozione più intima e più forte. Nel NT questo verbo compare solo nei Vangeli  (dodici volte)  ed è sempre riferito a Dio o a Gesù, come a dire che soltanto Dio è capace di provare questa forma di amore.
- Si mise a correre. Un gesto istintivo, ma imprudente per un vecchio e poco dignitoso per una persona di rango. A questo padre l’emozione ha chiaramente fatto perdere il controllo delle reazioni. Agisce ascoltando solo il cuore.
- Gli si gettò al collo. Letteralmente: gli cadde sul collo che è molto di più che abbracciare. Troviamo questa espressione solo un’altra volta nel NT. É usata per esprimere i sentimenti degli anziani di Efeso quando salutano Paolo, sapendo che non avrebbero più rivisto il suo volto: “Scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano e lo ribaciavano”  (At 20,37) .
- Non smetteva più di baciarlo. Non è il tradizionale bacio di saluto dato all’ospite, ma è il segno dell’accoglienza, è l’espressione della gioia e del perdono. Il padre non permette al figlio di inginocchiarsi.
Di fronte alla reazione del padre, il figlio prodigo – prende la parola e “recita” la sua confessione. Non riesce a concluderla. Quando sta per aggiungere: “trattami come uno dei tuoi garzoni”, il padre lo interrompe e comincia a dare ordini  (vv. 21-22) . Le sue disposizioni hanno tutte un significato e un richiamo simbolico.
- Al figlio  deve essere consegnata una veste lunga, la migliore, quella usata per le feste, per gli ospiti di riguardo, Dio reintegra nella sua famiglia, con tutti gli onori, colui che ritorna.
- L’anello al dito. Non è l’anello coniugale, ma quello con il sigillo. Al giovane viene ridata l’autorità sui servi e il potere sui beni del padre. Stranamente è come se nulla fosse stato sperperato. Può disporre ancora di tutta l’eredità che sembra  (ed è)  inesauribile.
- I sandali ai piedi sono il segno dell’uomo libero. Gli schiavi andavano scalzi.
Nella sua casa Dio non vuole servi, ma gente libera  (Gv 15,15) . Per questo, si notino i dettagli,  il padre interrompe la confessione del figlio prima che dichiari la sua disponibilità a trasformarsi in salariato, poi ordina che gli sia consegnata la veste lunga, non quella corta, usata dai servitori nei giorni feriali. Infine i sandali: non ci si presenta davanti a Dio a piedi nudi, come i garzoni che, tremanti, si aspettano di ricevere ordini o rimproveri. Egli non è un padrone, vuole essere amato, non temuto o servito.
Una festa conclude il cammino verso la casa del Padre.
- L’anello al dito. Non è l’anello coniugale, ma quello con il sigillo. Al giovane viene ridata l’autorità sui servi e il potere sui beni del padre. Stranamente è come se nulla fosse stato sperperato. Può disporre ancora di tutta l’eredità che sembra  (ed è)  inesauribile.
- I sandali ai piedi sono il segno dell’uomo libero. Gli schiavi andavano scalzi.
Nella sua casa Dio non vuole servi, ma gente libera  (Gv 15,15) . Per questo, si notino i dettagli,  il padre interrompe la confessione del figlio prima che dichiari la sua disponibilità a trasformarsi in salariato, poi ordina che gli sia consegnata la veste lunga, non quella corta, usata dai servitori nei giorni feriali. Infine i sandali: non ci si presenta davanti a Dio a piedi nudi, come i garzoni che, tremanti, si aspettano di ricevere ordini o rimproveri. Egli non è un padrone, vuole essere amato, non temuto o servito.
Una festa conclude il cammino verso la casa del Padre.
Nel giudaismo si insegnava che Dio concedeva il suo perdono a chi era sinceramente pentito e manifestava la sua volontà di convertirsi mediante digiuni, penitenze, vestiti laceri, prostrazioni. La prima parte della parabola si conclude invece in modo scandaloso e i farisei che la stanno ascoltando, cominciano a capire. Il Dio annunciato da Gesù è ben diverso da come lo immaginavano: organizza un banchetto per chi non lo merita, introduce nella sua festa i peccatori senza verificare se sono pentiti, se sono sinceramente decisi a cambiare vita. Li abbraccia senza porre loro alcuna domanda. Nel suo comportamento, Dio rivela i suoi sentimenti: egli non ama solo i giusti ed i peccatori pentiti; vuole bene a tutti, sempre e senza condizioni. Egli chiede a noi di “amare anche chi ci fa del male”; non ci dice di amare i nemici che si pentono e ci chiedono scusa, ma di fare loro del bene anche se continuano a perseguitarci.
vv. 25 -28a  il figlio maggiore
Arriva dai campi, sfinito, forse anche teso e preoccupato, è sempre lui che deve risolvere tutti i problemi  etrova la sorpresa: una festa, musiche, danze… Non è stato né invitato, né avvisato. Chiama uno dei servi e si informa su ciò che sta accadendo. É così turbato e sconcertato che, anche dopo i reiterati chiarimenti del servo, rimane incredulo. Si indigna e la sua ira è più che giustificata: è la reazione logica dell’uomo fedele e irreprensibile che si trova di fronte ad una palese ingiustizia.
 Il padre esce per pregare il figlio maggiore
Il padre esce di nuovo in casa e va a supplicare il figlio maggiore chiedendogli di entrare; ed egli comincia ad elencare i suoi meriti: io non ho mai trasgredito nessun comando, ho sempre servito fedelmente… É il ritratto perfetto del fariseo osservante e scrupoloso che nel tempio può dire al Signore: “Io non sono come gli altri uomini, ladri ingiusti, adulteri, digiuno due volte la settimana e pago le decime”  (Lc 18,11-12) .Alla misericordia del padre che si commuove (Lc 15, 20), si contrappone l’atteggiamento severo del figlio maggiore, che non accetta suo fratello come tale, ma nel dialogo con il padre, lo definisce: “questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute” (Lc 15, 30). Qui si intravede l’atteggiamento degli scribi e dei farisei che “mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. Loro non si mescolano con i “peccatori” considerati immondi, ma si distanziano da loro. L’atteggiamento di Gesù è diverso, è scandaloso ai loro occhi. La mormorazione degli scribi e dei farisei impedisce l’ascolto della Parola e quindi la scoperta del vero volto di Dio.
Nella parabola il figlio minore usa cinque volte la parola “padre” perché per lui il padre è davvero “padre”, sa di non poter avanzare pretese nei suoi confronti, è convinto di avere ricevuto tutto gratuitamente, di non meritare nulla. Sulla bocca del figlio maggiore invece non compare mai la parola “padre”. Egli mostra di non essere un figlio, ma un servo; il padre per lui è solo un padrone. La conseguenza di questo rapporto scorretto con il padre, è il rifiuto del fratello che viene chiamato: “questo tuo figlio”  (v. 30) . Subito però il padre, con molta finezza, lo corregge: “questo tuo fratello...era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. Cioè era disorientato e bloccato, ora è in piena crescita, equilibrata ed armonica; si era perduto, ora è qui.  Bisogna fare festa. 
Per la comunità ecclesiale postpasquale, quel padre è Dio, quella casa così vivace e popolata, forse è la chiesa, quei due fratelli impersonano una problematica umana ed ecclesiale sempre viva e attuale.
Dall’esperienza carmelitana: Santa Teresa di Lisieux
Alla sera di questa vita, comparirò davanti a voi a mani vuote, perché non vi chiedo, Signore, di  contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie hanno macchie ai vostri occhi. Voglio perciò  rivestirmi della vostra giustizia…, mi offro come vittima d'olocausto al vostro amore  misericordioso, supplicandovi di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima i  frutti d'infinita tenerezza che sono racchiusi in voi, e così possa diventare martire del vostro amore, o mio Dio!... Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a voi, mi faccia infine morire e la  mia anima si slanci senza alcuna sosta verso l'eterno abbraccio del vostro amore  misericordioso...” (Atto di Offerta all’amore misericordioso di Dio)
Orazione finale:
O Dio, che dai la ricompensa ai giusti e non rifiuti il perdono ai peccatori pentiti, ascolta la nostra supplica: l’umile confessione delle nostre colpe ci ottenga la tua misericordia.

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