venerdì 26 marzo 2010

LECTIO DIVINA: DOMENICA DELLE PALME, Anno Liturgico C


Orazione iniziale
Spirito santo, effuso sul mondo dal divino Morente, guidaci a contemplare e comprendere la via dolorosa del nostro Salvatore e l’amore con cui Egli l’ha percorsa. Donaci occhi e cuore di veri credenti, perché si sveli a noi il mistero glorioso della sua croce. Amen.
Domenica delle palme: Chiave di lettura:
Questo giorno liturgico viene designato con due denominazione: “domenica delle palme” e “domenica della passione del Signore”. Esse sono complementari perché l’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme dà inizio al dramma che si conclude con la sua crocifissione. Per entrambe queste ricorrenze la liturgia propone alcune letture bibliche che trovano il loro punto sintetizzante nel racconto della passione di Gesù.
Nella prima lettura (Is 50,4-7), il profeta Isaia presenta il misterioso “servo di Jahvè” che va incontro a terribili sofferenze per amore di Dio e dei suoi fratelli peccatori (amplificato dal salmo responsoriale, Sal 21), nonché un testo paolino (seconda lettura: Fil 2,6-11) che riconosce in Gesù il “servo di Dio” dedito al compimento della volontà divina di salvezza. La liturgia di questa domenica è, quindi, tutta dedicata alla “Parola della Croce” (1Cor 1,18), che si condensa in sintesi narrativa e teologica nel racconto della passione. Data l’ampiezza di questo racconto, la Lectio di questa domenica si dedica ad esso per intero.
                 Passione di Gesù secondo Luca: Lc 22,14-23,56.
Contesto evangelico:
É noto che il nucleo letterario attorno al quale si sono formati i vangeli è proprio il racconto della Pasqua del Signore: passione, morte e resurrezione. Siamo, dunque, di fronte a un testo abbastanza antico e unitario nella sua composizione letteraria, sebbene si sia formato gradualmente. La sua importanza è comunque capitale: viene narrato l’evento fondamentale della fede cristiana, quello col quale ciascun credente deve costantemente confrontarsi e conformarsi.
Nel contesto del terzo vangelo, Gesù si reca nella Città santa una sola volta: quella decisiva per la storia umana del Cristo e per la storia della salvezza. Tutto il racconto evangelico lucano è come una lunga preparazione agli avvenimenti di quegli ultimi giorni, che Gesù trascorre in Gerusalemme. Luca, come sempre, si dimostra narratore efficace e delicato, attento al particolare e capace di far intravedere al lettore i sentimenti e i movimenti interiori dei suoi personaggi principali, soprattutto di Gesù. Il terribile e ingiusto dolore che egli subisce è filtrato attraverso il suo inalterabile atteggiamento di misericordia verso tutti gli uomini, anche se sono i suoi persecutori e uccisori; alcuni di loro stessi rimangono toccati da questo suo modo di affrontare la sofferenza e la morte, tanto da mostrare segni di fede in lui: lo strazio della passione è addolcito dalla potenza dell’amore divina di Gesù. L’evangelista fa intendere ai suoi lettori in qual modo interpretare la terribile e scandalosa morte del Cristo, al quale hanno affidato la propria vita: Egli compie un passaggio doloroso e difficile da capire, ma “necessario” nell’economia della salvezza (9, 22; 13, 33; 17, 35; 22, 37) per portare a buon successo (“compimento”) il suo itinerario verso la gloria (cfr 24, 26; 17, 25). Tale itinerario di Gesù è paradigma di quello che ogni suo discepolo deve compiere (Att.14,22).

Una divisione del testo per aiutare la lettura e la meditazione.
Il racconto dell’ultima cena: 22, 14 - 38;
La preghiera di Gesù nell’orto del Getsemani:  22, 39 - 46;
L’arresto e il processo ebraico: da 22, 47 - 71
Il processo civile davanti a Pilato ed Erode:  23, 1 - 25
La condanna, la crocifissione e la morte:  23, 26 - 49
Gli avvenimenti successivi alla morte:  23, 50 – 56
Lc 22, 14 -38: Il racconto dell’ultima cena
L'odierno testo liturgico della passione inizia con la narrazione della istituzione eucarística (22,14-20) alla quale segue il cosiddetto discorso di addio” (22,21-38). Le parole introduttive indicano manifestamente che il terzo evangelista pone in stretta relazione il racconto dell'istituzione dell'eucaristia (avvenuta durante la celebrazione della cena pasquale giudaica) con quello della passione. Egli, infatti, riferisce queste pa­role di Gesù assai significative: ”Ho desiderato ardente­mente mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione” (22,15). I1 Salvatore ha un vivo desiderio, di celebrare quest’ultima Pasqua della sua vita non tan­to perché come ebreo osservante della legge, vuole adempiere il rito della manducazione dell'agnello pasquale, quanto perché, al termine di queste celebrazio­ne, egli intende istituire l'eucaristia, sacrificio e sacramento di vita, che lascerà alla chiesa, come suo ultimo e supremo dono. Inoltre, Luca ci offre una scintilla di luce sulla dimensione interiore di Gesù, mentre si appresta a patire e morire: ciò che lo spinge è, come sempre per lui, la scelta radicale di adeguarsi alla volontà del Padre (cfr 2,49), ma s’intravede in queste parole anche un umanissimo desiderio di fraternità , di condivisione e di amicizia.

Lc 22,39-46: La preghiera di Gesù nell’orto del Getsemani
 Luca, nei confronti degli altri evangelisti, maggior risalto sia all'esortazione alla preghiera che Gesù rivolge agli apostoli, sia all’tensità della preghiera del Salvatore durante la sua "agonia” nell'orto del monte degli Uliví. Per ben due volte egli dice agli apostoli: "Pregate per non entrare in tentazione” (22,20.46); inoltre l'evangelista osserva che Gesù, "in preda all'angoscia, pregava più íntensamente” (22,44). Riportando per due volte le parole di Gesù: "Pregate per non entrare in tentazione” (22,40.46), l'evangelista Luca mostra che la preghiera è l'atto non di un momento, sia pure difficile, ma dell'intero arco dell'esistenza cristiana, perché questa è sempre tempo di tentazione. Quindi Gesù non parla di «tentazioní» ma di «tentazione», espressione sintetica che designa tutte le prove, tribolazioní e persecuzioni, alle quali deve far fronte il discepolo di Gesù (cf. Lc 8,13).

Lc 22, 47 – 71: L’arresto e il processo ebraico:
vv. 47-53,  con l’arresto, inizia la vera e propria passione di Gesù. Questo racconto di passaggio, presenta gli avvenimenti seguenti come “l’ora delle tenebre” (v. 53) e mostra Gesù come colui che vince e vincerà sulla violenza mediante la pazienza e la capacità di amare anche i propri persecutori (v. 51); spiccano, perciò, le parole tristi, ma amorevoli, che egli rivolge a Giuda: "Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo” (v.48)
vv. 54-71, Il processo giudaico non subisce evoluzioni nel corso della notte. Di Gesù prigioniero non viene riferito alcunché, fino al mattino. Quest’assenza di notizie circa quanto avviene a Gesù subito dopo l’arresto e fino all’inizio del processo, è tipico di Luca.
vv.60-62: Pietro disse: "O uomo, non so quello che dici"… Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto… E, uscito, pianse amaramente: l’incrocio dei due sguardi, avvenuto chissà come nell’agitazione di quella notte interminabile, segna la presa di coscienza di Pietro: nonostante le sue audaci dichiarazioni di fedeltà, si è realizzato quanto Gesù gli aveva detto poco prima. In quello sguardo, Pietro sperimenta in prima persona la misericordia del Signore di cui aveva sentito parlare Gesù: non nasconde la realtà del peccato, ma la guarisce riportando l’uomo alla piena coscienza della propria realtà e dell’amore personale di Dio per Lui.
vv.70-71: “Tu dunque sei il Figlio di Dio?… Lo dite voi stessi: io lo sono… Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca”: il processo giudaico inizia ufficialmente con le prime luci del giorno (v. 66) ed è centrato sulla ricerca delle prove (quelle vere, in Luca, ma cfr Mc 14,55-59) in base alle quali condannerà  a morte Gesù. Secondo Luca, quindi, i capi giudei non sono ricorsi a false testimonianze, ma pur nella loro feroce avversione verso Gesù, si sono comportati con una certa correttezza giuridica verso di Lui. Gesù, rispondendo positivamente alla domanda “Sei il figlio di Dio”, si mostra pienamente cosciente della propria dignità divina. In forza di essa, la sua sofferenza, la sua morte e la sua resurrezione sono testimonianza eloquente del Padre e della sua volontà benefica verso l’umanità. In questo modo, però, egli “firma” la propria condanna a morte: è un bestemmiatore che profana il Nome e la realtà di Yhwh, perché se ne dichiara esplicitamente “figlio”.
              Lc 23, 1 – 25: Il processo civile davanti a Pilato ed Erode: 
vv. 3-5, “Sei tu il re dei Giudei?… Tu lo dici… Costui solleva il popolo, insegnando”: siamo al passaggio dal processo giudaico a quello romano: i capi ebrei consegnano il condannato al governatore perché esegua la loro condanna e, per offrirgli una motivazione a lui accettabile, “addomesticano” i moventi della loro condanna, mostrandoli sotto un aspetto politico. Gesù, perciò, viene presentato come sobillatore del popolo e usurpatore del titolo regale d’Israele (che ormai era divenuto quasi soltanto un ricordo o un’onorificenza). Lo strumento mediante il quale Gesù avrebbe preparato il suo reato, guarda caso, è la sua predicazione: quella parola di pace e di misericordia che aveva sparso a piene mani, viene ora usata contro di lui!  Gesù conferma l’accusa, ma certamente la sua regalità non è certo quella di cui veniva accusato di cercare, bensì uno dei riflessi della sua natura divina. Questo, però, né Pilato né gli altri sono in grado di capirlo.

vv. 6-12, Lo mandò da Erode: Pilato, avendo forse intuito che si cercava di coinvolgerlo in un “gioco sporco”, tenta probabilmente di disfarsi del prigioniero, adducendo il rispetto della giurisdizione: Gesù appartiene a un distretto che non ricade, in quel momento storico, sotto la diretta responsabilità dei Romani, ma dipende da Erode Antipa. Questi è presentato dai vangeli come un personaggio decisamente ambiguo: ammira ed è avverso a Giovanni battista, a causa dei rimproveri del profeta contro la sua situazione matrimoniale irregolare e quasi incestuosa, infine lo arresta e poi lo fa uccidere per non fare una cattiva figura con i suoi ospiti (3,19-20; Mc 6,17-29). Poi cerca di conoscere Gesù per pura curiosità, avendone conosciuta la fama di operatore di miracoli, imbastisce un processo contro di lui (v. 10), lo interroga di persona, ma poi dinanzi al suo ostinato silenzio (v. 9), lo abbandona agli scherni dei soldati, com’era avvenuto al termine del processo religioso (22,63-65) e come avverrà quando Gesù verrà crocifisso (vv35-38). Finisce col rimandarlo a Pilato.

vv.13-25,  “Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; …non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate”: come aveva anticipato nel primo incontro con Gesù (v. 4) e come ripeterà in seguito (v. 22), Pilato dichiara di ritenerlo innocente. Cerca di convincere i capi e il popolo a lasciare andare Gesù, ma essi hanno ormai deciso la sua morte (vv. 18.21.23) e insistono che sia condannato a morte.
Nel racconto di Luca, Pilato, quale rappresentante dell’autorità romana, appare non tanto come un giudice che decide autonomamente in base a fatti accertati, quanto invece come un testimone dell’innocenza di Gesù. Tale insistenza sull’innocenza del Salvatore prepara e trova il suo suggello nella dichiarazione del centurione romano, subito dopo la morte di Gesù in croce, quando dice: “veramente quest’uomo era giusto” (Lc 23,47).

La condanna, la crocifissione e la morte:  23, 26 - 49
 Nel cammino di Gesù, carico della cro­ce, verso il Calvario, soltanto Luca narra il suo incontro con le donne di Gerusalemme, nel quale egli pronunzia un annunzio profetico sulla rovina della città. Il Mae­stro si esprime con il linguaggio dei profeti, per questo motivo la colorazione delle sue parole e le immagini richiamate sono molto drammatiche. Luca, che scrive dopo la caduta di Gerusalemme (70 d.C.), riportando questa profezia di Gesù, fa teologia della storia: infatti lascia capire alle donne di quella città come gli ostinati rifiuti religiosi siano la causa di rovina.
Nel racconto della crocifissione e morte di Gesù, Luca ricorda tre espressioni del Salvatore che non tro­vano riscontro negli altri evangelisti e che rivestono un particolare valore ed interesse:
 La parola di perdono per i crocifissori: Gesù, sulla croce, rivolge a Dio questa preghiera per i suoi crocifissori: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (23,34). Per Luca queste parole di Gesù hanno un valore fondamentale: La preghiera di Gesù morente per i suoi crocifissori rientra nell'istanza teologica di Luca circa il perdono dei nemici; il terzo evangelista, infatti, ha riportato vari insegnamenti di Gesù al riguardo, come ad esempio “Benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Le 6,28; cf. 6,35). Il Salvatore con la sua preghiera di perdono per i suoi crocifissori si fa norma ed esempio vivente di quanto aveva insegnato ai discepoli. Inoltre il tema dell'«ignoranza» degli ebrei in riferimento alla crocifissione di Gesù, “non sanno quello che fauno” (23,34), è un tema che Luca pone in risalto più volte nei discorsi degli Atti.
 La promessa del paradiso al ladrone pentito: Al buon ladrone Gesù morente in croce, rivolge  queste parole: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso (23,43). II Salvatore non soltanto promette il «p aradiso» al "malfattore” «Matteo lo qualifica “ladro”, rapinatore”, ( 27,44)» che si riconosce colpevole e si pente, ma glielo assicura per subito dopo la morte. Nel tardo giudaismo, oltre all'idea che bisognava attendere il giudizio finale per risorgere da morte e ricevere la ricompensa per il bene  opereto in vita, c'era anche quella di un passaggio immediato dopo la morte ad uno stato di premio o di punizione, come appare dalla parabola  del povero Lazzaro e del ricco Epulone (Lc 16,22-26).  Si ricollega a questa idea e quindi assicura al buon ladrone il paradiso.
 La preghiera di Gesù morente: La morte in croce del Salvatore è cosi narrata da Luca: "Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno i1 mio spirito" (Sal 31,6). Detto questo spirò (23,46). Secondo l'evangelista, la preghiera di  Gesù morente non manifesta soltanto il suo abbandono fiducioso al momento della morte, ma anche la sua piena accettazione e conformazione al piano di salvezza voluto dal Padre; in tal modo Gesù muore come il perfetto giusto che si rimette nelle mani del Padre. Luca, l'evangelista della preghiera, evidenzia che Gesù muore con la preghiera sulle labbra.

Lc 23,50-56: Gli avvenimenti successivi alla morte
vv. 47-48: Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: "Veramente quest'uomo era giusto". Anche tutte le folle …, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto: l’efficacia salvifica del sacrificio di Gesù agisce quasi immediatamente, con la sola evidenza dei fatti avvenuti: pagani (come il centurione che ha comandato la squadra incaricata dell’esecuzione) e Giudei (la gente) iniziano a cambiare. Il centurione “glorifica Dio” e sembra essere a un passo dal diventare un credente cristiano. Le folle giudee, forse senza accorgersene, si allontanano compiendo gesti di pentimento come Gesù ha chiesto alle donne di Gerusalemme (v.38)
vv. 23,53: Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia”: Gesù ha davvero subito il supplizio. È davvero morto, come tanti altri uomini prima e dopo di lui, sulla croce, in un comune corpo di carne. Questo evento, senza il quale non vi sarebbe salvezza né vita eterna per alcun uomo, è verificato dal fatto che è necessario seppellirlo, tant’è vero che Luca si dilunga in alcuni particolari riguardanti il veloce rito di sepoltura realizzato da Giuseppe (vv. 52-54).
Il vangelo di questa “domenica di Passione” si conclude qui, omettendo il racconto della scoperta del sepolcro vuoto (24,1-12) e facendoci assaporare il gusto dolce e amaro del sacrificio dell’Agnello di Dio. Veniamo lasciati in un’atmosfera dolente e sospesa e vi restiamo immersi, pur conoscendo l’esito finale del racconto evangelico. Questa terribile morte del giovane Rabbi di Nazareth, non perde significato nella sua resurrezione, ma acquista un valore del tutto nuovo e inatteso, che non prescinde dalla sua dimensione di uccisione sacrificale liberamente accettata per uno scopo “eccessivamente” alto rispetto alle nostre capacità di umana comprensione: è mistero allo stato puro.
Orazione finale:
Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione. Per Cristo, nostro Signore. Amen.

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