sabato 17 aprile 2010

LECTIO DIVINA III DOMENICA DI PASQUA


Orazione iniziale

Manda il tuo santo Spirito, o Padre, perché la notte infruttuosa della nostra vita si trasformi nell’alba radiosa in cui riconosciamo il tuo Figlio Gesù presente in mezzo a noi. Aleggi il tuo Spirito sulle acque del nostro mare, come già al principio della creazione e si aprano i nostri cuori all’invito d’amore del Signore, per partecipare al banchetto imbandito del suo Corpo e della sua Parola. Arda in noi, o Padre, il tuo Spirito, perché diventiamo testimoni di Gesù, come Pietro, come Giovanni, come gli altri discepoli e usciamo anche noi, ogni giorno, per la pesca del tuo regno. Amen.
Prima Lettura  (At 5,27b-32.40b-41) ”Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.”
Il contenuto del  messaggio è la morte, la risurrezione e l’aspetto salvifico degli eventi di Pasqua.
L’arresto e l’imprigionamento degli apostoli era in potere del sommo sacerdote e l’esame delle accuse toccava al Sinedrio che era competente in tutto ciò che aveva relazione con la legge, specialmente nel suo aspetto religioso.
Il sommo sacerdote in presenza del Sinedrio accusa gli apostoli di due cose: disubbidienza agli ordini ricevuti e diffamazione per averli considerati responsabili della morte di Gesù.
Pietro senza le esitazioni e le incertezze del passato, proclama coraggiosamente il principio della libertà di fede: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”.
Obbedire nella Bibbia è sinonimo di credere, perciò Pietro afferma la forza critica della fede nei confronti dell’autorità umana, politica o religiosa quando essa si arroga dignità e ruoli assoluti che non rispettano e ledono la libertà e la sincerità autentica della coscienza.
I discepoli ubbidiscono a Dio accettando di predicare quello che Dio ha fatto in Gesù in favore degli uomini. La prima cosa che richiama l’attenzione è l“allergia” che gli accusatori mostrano di avere per il nome di Gesù essi infatti parlano di “quell’uomo”.
In secondo luogo essi devono però riconoscere che “quell’uomo” ha fatto strada: tutta la città parla di lui in conseguenza della predicazione degli apostoli e questo brucia molto a loro.
Era il riconoscimento e la glorificazione di Gesù; ma questo implicava, allo stesso tempo, la condanna di coloro che lo avevano messo a morte. Il rigetto di Gesù da parte loro non fu solo una colpa, ma un formidabile errore, che Dio stesso si è incaricato di mettere in luce, risuscitando Gesù. Con la risurrezione Dio ha costituito “quell’uomo” principe e salvatore: principe nel senso di capo e guida del nuovo popolo come fu Mosè per il popolo antico.
“Salvatore”: titolo dato a chi salva una città, soccorre e guarisce il popolo. Il Nuovo Testamento lo riferisce a Gesù in quanto liberatore dal peccato e dalla morte.
L’accusato in questo processo non è solo Pietro ma Gesù stesso che ora, come aveva promesso, mette
sulle labbra del suo discepolo la risposta giusta e la fermezza necessaria. Il conflitto tra la Chiesa e il Sinedrio non è che la continuazione di quello che ha condotto Gesù sul
patibolo. Ma la vittoria di Dio sulla morte fa intuire quale sarà l’esito di questo continuo confronto e la notazione finale degli apostoli, fustigati e minacciati eppure lieti e coraggiosi, ne è la più viva testimonianza e dimostrazione (vv.40-41).
 Seconda Lettura (Ap 5,11-14) ” L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza”
La seconda lettura di oggi è dal libro dell’Apocalisse di Giovanni che descrive la visione che lui stesso ha di Cristo posto sul trono e l’adorazione che a lui rende l’universo intero a cominciare dagli angeli fino alle creature della terra, sotto la terra e del mare.
Gesù è definito l’“agnello immolato” perché è in forza della sua opera salvifica che è degno di lode.
In suo onore si leva un inno di acclamazione nel quale si fondono le voci del cosmo, degli angeli e dei
santi che stanno davanti a Dio e, in seguito, degli uomini salvati, appartenenti a tutti i popoli della terra.
La solenne azione liturgica assume così dimensioni veramente universali, per celebrare la salvezza
pasquale operata da Dio e dal suo Cristo.
Ad essa si associa, qui sulla terra, la liturgia eucaristica. La celebrazione eucaristica della nostra assemblea è così immagine e anticipazione dell’assemblea escatologica.
La lode cosmica dell’Apocalisse si realizza oggi nell’assemblea celebrante, per rendere onore, gloria e
testimonianza all’Agnello che ci ha redenti.
L’agnello è il Cristo morto e risorto nella pienezza della sua funzione messianica, col possesso completo dello Spirito. Egli coordina ed attua efficacemente tutto lo svolgimento della storia della salvezza.
Il trono indica la sovranità assoluta di Dio sull’essere e sulla storia, sovranità che ora è esercitata dal Cristo risorto. Gli “anziani” esprimono l’intero popolo eletto, sono quindi gli apostoli, i martiri, i testimoni della fede, i giusti.
Tutta l’umanità e tutto il creato rispondono con la loro lode sinfonica: “A colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli”. 
Terza Lettura   dal Vangelo di Giovanni 21, 1-19  ” Veniamo anche noi con te.”
Contesto del brano
Questa pesca miracolosa è l’ultimo “segno” di Gesù. Egli non si rivela, rimane misterioso, ma la fede del vero discepolo sa riconoscerlo. Anche la pesca è un simbolo: i discepoli vanno a pesca di uomini, ma è lui stesso che dirige la pesca e riempie la rete.
Gesù, come aveva previsto il rinnegamento di Pietro, così riconosce il suo amore e può assicurare che
l’apostolo lo seguirà fino al sacrificio della propria vita.
Con questo toccante dialogo Gesù fa di Pietro un segno della propria perenne presenza presso di noi
come Buon Pastore. I poteri di Cristo passano quindi a Pietro che può iniziare la sua missione.
Gettare la rete dalla parte destra era un augurio, un auspicio di fortuna essendo, nel linguaggio semitico, la “destra” il simbolo della buona sorte e del benessere.
Il numero dei pesci forse simbolico, che però non è giunto fino a noi, forse vuole sottolineare una
testimonianza oculare. Se i pesci devono simboleggiare la totalità dei popoli che devono entrare nella Chiesa, e se la rete non si spezza, questo fatto deve simboleggiare l’unità della Chiesa.
Nel racconto di Giovanni, nel quale Gesù offre a Pietro l’opportunità per la triplice confessione d’amore, abbiamo il parallelo del triplice rinnegamento.
Fino ad ora Gesù era stato pastore; ora, nel tempo della Chiesa, questo ufficio è affidato a Pietro.
Nella scena del banchetto il pranzo è preparato da Gesù stesso e i gesti che egli compie (v.13) evocano i banchetti con il Gesù terreno e, forse, anche quello dell’Ultima Cena.
Ora la comunione con il Gesù terrestre si trasforma in dialogo e comunione con il Cristo risorto presente, vicino alla sua Chiesa anche nel succedersi quotidiano della storia.
Le pecore affidate a Pietro sono sempre e innanzitutto “mie”, cioè di Gesù; la missione di Pietro è, quindi, tutta orientata al Cristo buon pastore e deve essere pronta a raggiungere lo stesso vertice di donazione. La strana dichiarazione del v.18 preannuncia, infatti, il destino di Pietro che, come “ il buon pastore darà la vita per le sue pecore”, dovrà “glorificare Dio con la sua morte”.
La coerenza della testimonianza cristiana anche in situazioni difficili è uno dei temi di ieri, di oggi e di
sempre: una testimonianza ferma ma non arrogante, decisa ma non provocatoria, umile ma incrollabile.
Pietro è la figura del Pastore, della guida, del compagno di viaggio, ma anche la figura del discepolo la cui caratteristica fondamentale è l’amore fino alla donazione totale di sé.
                                            Suddivisione del brano
v.1: Con la doppia ripetizione del verbo ‘manifestarsi’, Giovanni attira subito la nostra attenzione su un evento grande che sta per compiersi. La potenza della risurrezione di Gesù non ha ancora finito di invadere la vita dei discepoli e quindi della Chiesa; occorre disporsi ad accogliere la luce, la presenza, la salvezza che Cristo ci dona. E come si manifesta ora, in questo brano, così continuerà sempre a manifestarsi nella vita dei credenti. Anche nella nostra.
vv. 2- 3: Pietro e altri sei discepoli escono dal chiuso del cenacolo e si spingono fuori, verso il mare per pescare, ma dopo tutta una notte di fatica, non prendono nulla. E’ il buio, la solitudine, l’incapacità delle forze umane.
vv. 4-8: Finalmente spunta l’alba, torna la luce e compare Gesù ritto sulla riva del mare. Ma i discepoli non lo riconoscono ancora; hanno bisogno di compiere un cammino interiore molto forte. L’iniziativa è del Signore che, con le sue parole, li aiuta a prendere coscienza del loro bisogno, della loro condizione: non hanno nulla da mangiare. Poi li invita a gettare di nuovo la rete; l’obbedienza alla sua Parola compie il miracolo e la pesca è sovrabbondante. Giovanni, il discepolo dell’amore, riconosce il Signore e grida la sua fede agli altri discepoli. Pietro aderisce immediatamente e si butta in mare per raggiungere al più presto il suo Signore e Maestro. Gli altri, invece, si avvicinano trascinando la barca e la rete.
vv. 9-14: La scena si sposta sulla terra ferma, dove Gesù stava aspettando i discepoli. Qui si realizza il banchetto: il pane di Gesù è unito ai pesci dei discepoli, la sua vita e il suo dono diventano tutt’uno col la vita e il dono loro. E’ la forza della Parola che diventa carne, diventa esistenza.
vv. 15-18: Adesso Gesù parla direttamente al cuore di Pietro; è un momento d’amore molto forte, dal quale non posso restare fuori, perché quelle precise parole del Signore sono scritte e ripetute anche per me, oggi. Una reciproca dichiarazione d’amore ribadita per tre volte, capace di superare tutte le infedeltà, le debolezze, i cedimenti. Da adesso comincia una vita nuova, per Pietro e anche per me, se lo voglio.
v. 19: Questo versetto, che chiude il brano, è un po’ particolare, perché presenta un commento dell’evangelista e subito di nuovo lascia risuonare la parola di Gesù per Pietro, parola fortissima e definitiva: “Seguimi!”, alla quale non c’è altra risposta che la vita stessa.
a) “Uscirono e salirono sulla barca” (v. 3). Sono disposto, anch’io, a compiere questo percorso di conversione? Mi lascio risvegliare dall’invito di Gesù? O preferisco continuare a rimanere nascosto, dietro le mie porte chiuse per paura, come erano i discepoli nel cenacolo? Voglio decidermi a venir fuori, a uscire dietro a Gesù, a lasciarmi da Lui inviare? C’è una barca pronta anche per me, c’è una vocazione d’amore che il Signore mi ha donato; quando mi deciderò a rispondere veramente?
b) “…Ma in quella notte non presero nulla” (ivi). Ho il coraggio di lasciarmi dire dal Signore che in me c’è il vuoto, che è notte, che non ho nulla fra le mani? Ho il coraggio di riconoscermi bisognoso di Lui, della sua presenza? Voglio rivelare a Lui il mio cuore, il più profondo di me stesso, quello che cerco continuamente di negare, di tenere nascosto? Lui sa tutto, mi conosce fino in fondo; vede che non ho nulla da mangiare; però sono io che devo rendermene conto, che devo finalmente arrivare da Lui a mani vuote, magari piangendo, col cuore gonfio di tristezza e angoscia. Se non faccio questo passo, non spunterà mai la vera luce, l’alba del mio giorno nuovo.
c) “Gettate la rete dalla parte destra” (v. 6). Il Signore mi parla anche chiaramente; c’è un momento in cui, grazie a una persona, a un incontro di preghiera, a una Parola ascoltata, io comprendo chiaramente cosa devo fare. Il comando è chiarissimo; bisogna solo ascoltare e obbedire. “Getta dalla parte destra”, mi dice il Signore. Ho il coraggio di fidarmi di Lui, finalmente, o voglio continuare a fare di testa mia, a prendere le mie misure? La mia rete, voglio gettarla a Lui?
d) “Simon Pietro … si gettò in mare” (v. 7). Non so se si possa trovare un versetto più bello di questo. Pietro gettò se stesso, come la vedova al tempio gettò tutto quanto aveva per vivere, come l’indemoniato guarito (Mc 5, 6), come Giairo, come l’emorroissa, come il lebbroso, che si gettarono ai piedi di Gesù, consegnando a Lui la loro vita. O come Gesù stesso, che si gettò a terra e pregava il Padre suo (Mc 14, 35). Adesso è il mio momento. Voglio, anch’io, gettarmi nel mare della misericordia, dell’amore del Padre, voglio consegnare a Lui tutta la mia vita, la mia persona, i miei dolori, le speranze, i desideri, i miei peccati, la mia voglia di ricominciare? Le sue braccia sono pronte ad accogliermi, anzi, sono sicuro: sarà Lui a gettarsi al mio collo, come sta scritto … “Il padre lo vide da lontano, gli corse incontro e si gettò al suo collo e lo baciò”.
e) “Portate dei pesci che avete preso ora” (v. 10). Il Signore mi chiede di unire al suo cibo il mio, alla sua vita la mia. E siccome si tratta di pesci, significa che l’evangelista sta parlando di persone, quelli che il Signore stesso vuole salvare, anche attraverso la mia pesca. Perché per questo Lui mi invia. E alla sua mensa, alla sua festa, Egli aspetta me, ma aspetta anche tutti quei fratelli e quelle sorelle che nel suo amore Egli consegna alla mia vita. Non posso andare da Gesù da solo. Questa Parola, allora, mi chiede se sono disposto ad avvicinarmi al Signore, a sedermi alla sua tavola, a fare Eucaristia con Lui e se sono disposto a spendere la mia vita, le mie forze, per portare con me da Lui 
tanti fratelli. Devo guardarmi con sincerità nel cuore e scoprire le mie resistenze, le mie chiusure a Lui e agli altri.
f) “Mi ami tu?” (v. 15). Come faccio a rispondere a questa domanda? Chi ha il coraggio di proclamare il suo amore per Dio? Mentre vengono a galla tutte le mie infedeltà, i miei rinnegamenti; perché quello che è successo a Pietro fa parte anche della mia storia. Però non voglio che questa paura mi blocchi e mi faccia indietreggiare; no! Io voglio andare da Gesù, voglio stare con Lui, voglio avvicinarmi e dirgli che, sì, io lo amo, gli voglio bene. Prendo a prestito le parole stesse di Pietro e le faccio mie, me le scrivo sul cuore, le ripeto, le rumino, le faccio respirare e vivere nella mia vita e poi prendo coraggio e le dico davanti al volto di Gesù: “Signore, tu sai tutto; tu sai che io ti amo”. Così come sono, io Lo amo. Grazie, Signore, che mi chiedi l’amore, che mi aspetti, mi desideri; grazie, perché tu gioisci del mio povero amore.
g) “Pasci le mie pecore… Seguimi” (vv. 15. 19). Ecco, il brano termina così e rimane aperto, continua a parlarmi. Questa è la parola che il Signore mi consegna, perché io la realizzi nella mia vita, da oggi in poi. Voglio accogliere la missione che il Signore mi affida; voglio rispondere alla sua chiamata e voglio seguirlo, dove Egli mi condurrà. Ogni giorno, nelle piccole cose.
Preghiera finale
Grazie, o Padre, per avermi accompagnato al di là della notte, verso l’alba nuova dove mi è venuto incontro il tuo Figlio Gesù. Grazie per avere aperto il mio cuore all’accoglienza della Parola e avere operato il prodigio di una pesca sovrabbondante nella mia vita. Grazie per il battesimo nelle acque della misericordia e dell’amore, per il banchetto sulla riva del mare. Grazie per i fratelli e le sorelle che sempre siedono con me attorno alla mensa del Signore Gesù, offerto per noi. E grazie perché non ti stanchi di avvicinarti alla nostra vita e di mettere a nudo il nostro cuore, Tu che solo lo puoi veramente guarire. Grazie, infine, per la chiamata che anche oggi il Signore mi ha rivolto, dicendomi: “Tu, seguimi!”. O, infinito Amore, io voglio venire con Te, voglio portarti ai miei fratelli!

Nessun commento:

Posta un commento