venerdì 30 aprile 2010

LECTIO DIVINA: 5ª DOMENICA DI PASQUA ANNO C


Orazione iniziale
Signore Gesù aiutaci a capire il mistero della Chiesa come comunità d’amore. Dandoci il comandamento nuovo dell’amore come costitutivo della chiesa, ci indichi che esso è in cima alla gerarchia dei valori. Quando stavi per dare l’addio ai tuoi discepoli, hai voluto offrire il memoriale del comandamento nuovo, lo statuto nuovo della comunità cristiana. Non è stata una pia esortazione, ma appunto, un comandamento nuovo, che è l’amore. In questa ‘relativa assenza’ siamo invitati a riconoscerti presente nella persona del fratello. In questo periodo della Pasqua, Signore Gesù, tu ci ricordi che il tempo della Chiesa, è il tempo della carità, è il tempo dell’incontro con Te attraverso i fratelli. Sappiamo che alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore. Aiutaci a incontrarti in ogni fratello e sorella, cogliendo le piccole occasioni di ogni giorno.
Prima lettura Att.14,21-27
Il brano contiene i versetti che concludono il primo viaggio missionario che ha visto Paolo in compagnia di Barnaba, impegnato a fondare le prime comunità cristiane al di fuori del modo strettamente ebraico, nella parte meridionale dell’Asia Minore. L’esperienza “nuova” fatta da Paolo e Barnaba è che “Dio aveva aperto ai pagani la porta della fede” (v.27). I frutti della Pasqua e dello Spirito sulle prime comunità, quasi sorprendono gli stessi apostoli. L’esperienza abbraccia anche “le tribolazioni” (v.22), che segnano inevitabilmente l’itinerario della missione, ma ne costituiscono anche il segreto della fecondità.
Ritroviamo in Atti “tribolazione”, categoria portante dell’Apocalisse. Paolo e Barnaba, passando per Antiochia di Pisidia (At 13,44-52), per Iconio (14,1-7) e per Listra (14,8-20), hanno conosciuto persecuzione, espulsione e lapidazione. Tornano ora sui loro passi, esortano e confortano le comunità evangelizzate di restare saldi nella fede. In questo sommario, Luca vuole evidenziare l’entusiasmo missionario di Paolo e Barnaba nonostante le difficoltà che abbiano incontrato. Ciò che è toccato a Cristo e ai primi evangelizzatori, tocca ora a tutti i credenti. Vale anche per noi la legge generale: “è necessario passare attraverso molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (v.22). Annuncio e testimonianza di fede vera e operante, comportano contrasti e persecuzioni per tutti. E’ la Pasqua vissuta a livello personale e comunitario.

Seconda lettura Ap.21,1-5°
Il testo fa parte del penultimo capitolo del libro dell’Apoclisse, l’ultimo libro della Bibbia, che era iniziata con la Genesi, con la creazione del cielo e della terra, dell’uomo e della donna. Qui nell’Apocalisse, al compimento di tutta la storia della salvezza, il mare non c’è più e i cieli e la terra sono totalmente rinnovati. Al centro della terra e del cielo rinnovati, c’è la santa Gerusalemme, la comunità di tutti gli uomini (l’umanità rinnovata) finalmente radunati nell’amore di Dio e capaci di rispondere a tale amore con l’amore  di una sposa fedele.
v.1. “Il cielo e la terra di prima erano scomparsi..”. Le varie immagini di Ap 21 vogliono evocare soltanto la grande crisi che la prima creazione attraversa e attraverserà, prima che Dio con un atto della sua onnipotenza faccia nuova l’antica creazione.
v.2. “la città santa, la nuova Gerusalemme”: la nuova città “discende da cielo, da Dio”, avviene dall’alto (cf Gal 4,26; Fil 3,20; Eb 12,22; 14,44), “il suo architetto e costruttore è Dio (Eb 11,10).
“Pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. Il simbolo della sposa per indicare il popolo di Dio, è corrente sia nell’AT che nel NT (cf. Os 2,18.21; Is 54,6; Ez 16, ecc; Mt 22,1ss; Mc 2,19; Gv 3,29; Ef 5,25, ecc). L’alleanza sponsale di Dio con il suo popolo, diventato ormai universale (cf.Ap 7,9-17), viene a compimento. Se il popolo di Israele poteva affermare che Do gli aveva parlato dicendo che egli era il loro Dio e loro erano il suo popolo, ora tale reciproca appartenenza nell’amore è estesa a tutti i popoli.
v.3. “Ecco la dimora di Dio con gli uomini”: tutti i segni della presenza di Dio che la storia della salvezza aveva offerto (la nube, la tenda, il tempio, ecc) scompaiono (cf Ap 21,22), perché la realtà prende il posto del segno.
v.4. “Tergerà ogni lacrima, non ci sarà più la morte”: il Dio con tutti gli uomini libera la creazione da ogni negatività, oggettiva e soggettiva. La morte, con tutto il suo corteggio di mali, è vinta per sempre.
v.5. “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” :
Dio fa nuove tutte le cose. Una simile novità non può provenire che da Dio. Il credente che vive nella “traballante capanna” (Am 9,11) del suo corpo, della sua esistenza e della storia universale, sa bene che la novità vera non è raggiungibile dall’uomo se non come accoglienza del dono di Dio. E’ Dio il “nuovo”, il diverso che si dona, si auto comunica.
Dio fa nuove le cose. Nota bene: Dio non “fa cose nuove”, bensì “fa nuove” tutte le cose. L’accento è su sulla novità, non sulle cose. Dio non cancella la prima creazione per sostituirla con una nuova; rinnova, trasforma la prima creazione, quella di cui facciamo parte e che ci portiamo dentro.
Dio “fa” (al presente) nuove tutte le cose, l’assemblea che ascolta, noi stessi che ascoltiamo dovremo trasalire di gioia dinanzi a questo presente, segno di un rinnovamento escatologico che già si iscrive nella presente vita e nella presente storia. Si tratta, allora, di riconoscere fin d’ora i germi di questa novità e di coltivarli.
Vangelo Gv 13,31-33°.34-35
Contesto
Il brano apre la lunga sezione giovannea dei “discorsi di addio” (Gv 13,31-14,31 e Gv 15-17). L’uscita nella notte di Giuda il traditore (13,30), inaugura per Giovanni l’ “ora delle tenebre”. Da una parte, dimostra Giuda che abbandona definitivamente la sfera della luce e della vita per entrare nelle tenebre e nella morte nelle quali verrà inghiottito; da un’altra parte, è l’ora della passione di Gesù che, nel quarto Vangelo, coincide misteriosamente con “ora della glorificazione” (vv.31-32). Ma questa è anche l’ora della partenza di Gesù, l’ora del distacco (v.33), l’ora delle ultime volontà. Una domina su tutte: il comandamento nuovo dell’amore (vv.34-35).
Spiegazione del testo
vv.31-32: “..Il Figlio è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui…”
Il verbo “glorificare” appare ben cinque volte nei vv.31-32. La “gloria” nel linguaggio biblico è l’irraggiamento stesso della presenza di Dio, lo splendore terribile e ad un tempo affascinante dell’essere di Dio. Per il Vangelo di Giovanni la “gloria” divina è presente nella “carne” del Verbo diventato uomo (Gv 1,14), rivela e salva attraverso i miracoli-segni di Gesù (Gv2,11), esplode nello scandalo del Crocifisso. L’uomo si aspetterebbe sempre una presenza di Dio visibilmente gloriosa, una trasparenza attraverso la quale si possa contemplare direttamente il divino. Il verbo fatto carne e innalzato sulla croce ci obbliga ad una conversione teologica. Dio è presente là dove meno lo aspetteremmo: nella debolezza e infermità dell’esistenza terrena di Gesù, addirittura in maniera privilegiata nella sua passione-morte. Infatti, di fronte al tradimento di un suo discepolo, Gesù dimostra un amore più forte dell’istintiva avversione. Un amore che non giudica, che non conosce limiti, che si estende pure ai nemici. Il momento della morte in croce manifesta la gloria che Gesù ha ricevuto dal Padre e che ora brilla in lui: è la manifestazione massima dell’amore di Gesù e del Padre.
v.33: “Figlioli, mi resta ormai poco tempo per stare con voi…”
 Gesù che va liberamente alla morte, causata dal tradimento di un suo discepolo e accettata per amore, sa che nessuno può accompagnarlo. I suoi non sono ancora capaci di un amore generoso e totale. Infatti tra poco lo abbandoneranno tutti; in 16,32 leggiamo: “Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo…”. Dopo essere stato capace di dimostrare amore anche per il traditore, Gesù formula il comandamento della sua comunità basato sull’ assomiglianza al suo amore senza limiti.
v.34: “vi do un comandamento nuovo: che vi amiate..come io vi ho amato…”
L’aggettivo “nuovo” esprime una novità di natura: il comandamento di Gesù qualitativamente nuovo perché è dono di Dio e di Cristo, è una partecipazione alla loro capacità e al loro modo di amare. Di fatto, Gesù supera il precetto dell’amore contenuto nel Libro del Levitico: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18; cfr. Mt 22,3740) dove l’uomo era la misura di questo amore. Gesù dona ai suoi un unico comandamento che è nuovo: la sua qualità è tale che esso sostituisce tutti gli altri. Nell’unico comandamento che Gesù lascia come costitutivo per la comunità dei credenti, egli non chiede nulla né per sé né per Dio, ma solo per gli uomini. Dio ancora una volta viene presentato non come colui che viene servito dagli uomini, ma che si pone al loro servizio offrendo ad essi la sua stessa capacità d’amare: come io ho amato voi. Non l’uomo ma Gesù è la misura/norma di questo amore. Essendo stato preceduto da un gesto di servizio e di accoglienza come la lavanda dei piedi, Gesù fa comprendere che questo amore si esprime attraverso il servizio. Chi non serve, non ama. Il come di questo amore non indica solo la misura (comparazione) di questo amore, ma la motivazione (causa): si è capaci di amare come Gesù perché lui ci ama. L’amore di Cristo, prima ancora di essere norma e modello dell’agape cristiana, ne è sorgente e radice, per cui, se è accolto nella libertà, produce gli effetti dell’amore vicendevole e della comunione fraterna.
v.35 “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni gli altri”
Nella comunità dei credenti (discepoli), segno e germe della comunità escatologica, si rende (o si dovrebbe rendere!) visibile e tangibile la logica dell’amore, la logica del dono totale che è la logica di Dio e del suo regno. Quindi c’è qualcosa di più di un semplice “segno distintivo”; si tratta di rappresentare al vivo di fronte al vecchio mondo, la logica e la vita del “nuovo mondo”, nel quale tutti siamo amati da Dio e da questa “forza rinnovatrice” sappiamo amarci. Infatti, l’amore, quando si traduce in servizio, diventa visibile: si dimostra la autenticità dell’amore e così si manifesta la presenza del Padre nell’umanità. Questa manifestazione visibile è l’unico distintivo dei credenti in Gesù. Ponendo l’amore/servizio quale unico segno distintivo, Gesù esclude qualsiasi altro. Quando questo non è capito, si sceglie la strada dei surrogati: stemmi, insegne, abiti o decorazioni; ma, mentre abiti o insegne sono legate ad un determinato contesto culturale e sociale, limitato quindi geograficamente a una particolare parte del mondo, l’amore che si traduce in servizio è un linguaggio universale che non conosce limiti o confini razziali o geografici ed è l’unico distintivo prontamente riconoscibile da tutti.
Preghiera finale
O Dio, che nel Cristo tuo Figlio, rinnovi gli uomini e le cose, fa' che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore, Amen.

1 commento:

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