mercoledì 5 maggio 2010

LECTIO DIVINA , 6ª DOMENICA DI PASQUA ANNO C

Orazione iniziale
Vieni, Spirito santo, nei nostri cuori e accendi in essi il fuoco del tuo amore, donaci la grazia di leggere e rileggere la Parola di Dio per farne memoria attiva, amante e operosa nella nostra vita. Illumina, o Spirito di luce, la nostra mente perché possiamo comprendere le sacre Scritture; riscalda il nostro cuore perché avvertiamo che non sono lontane da noi, ma sono la chiave della nostra esperienza presente. Donaci, Padre, il santo Spirito; te lo chiediamo insieme con Maria, la madre di Gesù e madre nostra e con Elia, tuo profeta nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen!
Prima lettura: At 15,1-2.22-29
Il capitolo 15 rappresenta il punto di svolta nella narrazione di Atti. L’assemblea di Gerusalemme si pone al centro anche fisico di Atti preparando il successivo sviluppo della missione paolina. Infatti, dal cap.16 in poi, Luca si concentrerà unicamente sui viaggi missionari di Paolo fino alla città di Roma.
Nel brano odierno si fa riferimento a una grave crisi che sta scuotendo la chiesa primitiva: Ad Antiochia, dove Paolo e Barnaba hanno compiuto un resoconto entusiasta dell’azione “senza confini” dello Spirito, arrivano alcuni giudeo-cristiani di Gerusalemme e pretendono di imporre l’obbligo della circoncisione ai neo-convertiti dal paganesimo dicendo loro “se non vi fate circoncidere … non potete essere salvi” (v.1). Paolo e Barnaba discutono animatamente contro costoro, perché alla luce della loro fede in Gesù Cristo, ritenevano che a eccezione di alcune direttive importanti (ad es. il Decalogo), molti comandamenti non avevano se non valore provvisorio, limitato al mondo giudaico, ed erano sostituiti dalla fede in Gesù (Paolo dimostra ciò specialmente nella Lettera ai Galati). Ma per risolvere, anzi, per trovare un orientamento comune a tale questione; Paolo, Barnaba e alcuni altri di loro dovettero recarsi alla Chiesa Madre di Gerusalemme.
Nella lettura noi vediamo come la Chiesa sia concorde nell'esprimere il suo giusto punto di vista. Di fatto, a Gerusalemme, con l’autorità degli apostoli e degli anziani, la chiesa cristiana fa la prima esperienza di un concilio (At 15,4-21) e giunge alla decisione fissata in scritto nel cosiddetto “decreto apostolico”. E’ la prima lettera apostolica che porta tutti i tratti: pastoralità, prudenza, discernimento della verità, ispirazione dello Spirito Santo. Essa è affidata agli “uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli” (v.22), perché lo portino alle singole comunità e lo commentino autorevolmente “a viva voce” (v.27). Al di là dei contenuti, ci troviamo di fronte ad una metodologia di assemblea ecclesiale, essa stessa suggerita dallo Spirito e aperta all’attualizzazione: la lettera della comunità di Gerusalemme è introdotta dall’informazione sulla delegazione inviata ad Antiochia (vv.22-23). Ai due delegati di Antiochia vengono aggiunti altri due di Gerusalemme, perché la comunione tra le due Chiese sia espressa dalla visita di rappresentanti della comunità di Gerusalemme in comunione con lo Spirito santo.
Da questo racconto emerge chiaro che sin dall'inizio alla Chiesa si presentarono questioni nuove e imprevedibili, alle quali nessuno sapeva dare subito una risposta. Tuttavia, lo Spirito Santo, l'impegno degli Apostoli e di tutta quanta la Chiesa fecero sì che si approdasse ad una vera e giusta soluzione. Tale evento in fondo, evoca la Chiesa in tutto il suo mistero: è una comunità che cammina nella storia, e in questa sua dimensione è attraversata da tensioni e visioni differenti, sempre impegnata in un faticoso discernimento spirituale della volontà di Dio, chiamata a decisioni che possono anche mutare nel tempo e adattarsi a differenti contesti storici e culturali grazie alla docilità dei suoi membri all’azione dello Spirito Santo.
Seconda lettura: Ap 21,10-14.22-23
In questi versetti continua la descrizione della città santa, la nuova Gerusalemme che è splendente e con nuovi riferimenti simbolici. Essa è costituita di dodici porte, che sono custodite da dodici angeli con i nomi delle dodici tribù di Israele e i suoi basamenti poggiano su dodici colonne, che sono i dodici apostoli. Le porte sono orientate a gruppi di tre nelle quattro direzioni cardinali, a indicare che la Gerusalemme celeste sorge sul punto di congiunzione di tutte le direttrici geografiche.
vv. 10-11. La Gerusalemme celeste risplende dello splendore di Dio
La nuova città, che Dio ha pensato e progettato da sempre e il cui avvento è certo della certezza di Dio, risplende della stessa presenza di Dio. La gloria di Dio, ovvero la sua splendida presenza, non deve entrarvi dal di fuori come accadeva nella Gerusalemme restaurata di Ez 43,1ss. Essa vi dimora già, anzi ne fa essenzialmente parte, la pervade e la illumina interamente. Ciò significa che nella Gerusalemme celeste si dà un’esperienza piena e immediata di Dio. Quanto era promesso e annunciato come realtà futura dai profeti, ora Giovanni lo contempla come realtà presente. Questa Gerusalemme rappresenta la nuova umanità redenta, intimamente legata a Gesù Cristo, essendo la sposa dell'Agnello (21,9).
vv. 12-14 Dodici porte e dodici basamenti e colonne
La struttura comprende “dodici porte”, cioè l’antico Israele fedele (v.12), e “dodici basamenti ”, cioè il nuovo Israele fedele(v.14): così l’Apocalisse abbraccia attraverso il numero simbolico “dodici” l’universale popolo di Dio, l’intera famiglia dei salvati.
Le porte, tre per ognuno dei quattro punti cardinali (v.13), restano “perennemente aperte” (Ap 21,25) a esprimere appunto l’universalità della città-popolo, conforme alla promessa di Gesù: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno alla mensa del regno di Dio” (Lc 13,29).
Il grande e alto muro che circonda la città aperta (v.12a) non ha lo scopo di difenderla da nemici, visto che il Maligno, il male e la morte, sono stati sconfitti definitivamente (cf.Ap 20,7-15). Forse, è simbolo della perfezione e compiutezza della città, come pure simbolo della separazione tra la salvezza e non salvezza: una frontiera discrimina ciò che è dentro la città e ciò che resta irreparabilmente fuori (cf.Ap 21,27 e 22,15)
v. 22. “non vidi alcun tempio: Dio e l’Agnello, il nuovo tempio di luce”
Per il giudaismo l’assenza del tempio era inconcepibile: nel mondo nuovo il tempio sarebbe stato purificato, non eliminato (cf. Mal 3,1ss; Dn 8,14). Invece nella nuova Gerusalemme Dio e l’Agnello sono presenti senza bisogno di mediazioni: “mentre prima gli uomini mediante il tempio cercavano un contatto con Dio entrando nel recinto sacro, ora è Dio stesso che cerca l’uomo, che si dona direttamente a lui stabilendo una correlazione permanente e trasparente”. La Gerusalemme celeste è simbolo della piena comunione tra Dio e l’Agnello, da una parte, e gli uomini dall’altra. Si coglie qui il senso ultimo del messaggio neotestamentario sull’umanità di Cristo come “nuovo tempio” e sui cristiani come “tempio di Dio”, “tempio dello Spirito”. Dio e l’Agnello sono ora, definitivamente, la casa dell’uomo.
v. 23 La città non ha bisogno della luce del sole
Coabitazione perenne tra Dio e gli uomini, e comunione di vita divina vengono infine espresse con la categoria della “luce” (v.25). Nella nuova Gerusalemme non c’è posto per le tenebre e per la notte. L’utopia della luce, espressa da Is c.2 e Is c.60, viene in essa a compimento. Luce come presenza di Dio, luce come vita trascendente e divina, che investe i cittadini della città di Dio, li fa essere, li fa vivere. Dio e Cristo sono questa luce.
Vangelo Gv 14,23-29
Contesto
Ci troviamo nel primo discorso di addio di Gesù che ha avuto inizio in Gv 13,31. I versetti costituiscono la risposta di Gesù a una domanda rivolta da Giuda Taddeo (non il traditore), che a prima vista potrebbe sembrare non avere alcuna relazione con ciò che segue: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. La domanda in realtà, riflette bene uno dei dubbi più angoscianti della comunità degli apostoli, perché nella prospettiva messianica allora corrente, il Messia avrebbe dovuto rivelarsi a tutto il mondo e non a un piccolo gruppo di discepoli. Quindi il brano evangelico odierno è costituito dalla risposta del Maestro al discepolo. Gesù risponde qui in un modo che abbraccia molto più di quanto la semplice domanda avrebbe desiderato. E’ una delle caratteristiche del quarto Vangelo esprimere in termini “spaziali” i motivi invisibili dell’amore di Dio che, nel Figlio incarnato, “viene” e “discende” tra gli uomini: partire dall’interrogativo sincero del discepolo per allargare subito l’orizzonte del suo sguardo e oltrepassare di molto lo stesso terreno.
Spiegazione del testo.
vv.23-24.28. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola... Questa verità, qui enunciata in termini positivi, viene poi ribadita in termini negativi («Chi non mi ama, non osserva le mie parole», v. 24) e ripresa più avanti: «Se mi amaste, vi rallegrereste...» (v. 28). Questo amore, di cui parla Gesù, deve possedere due condizioni o prove di autenticità: primo, chi ama Gesù, osserva le sue parole, vale a dire crede e vive di esse; secondo, chi ama Gesù si rallegra che Gesù vada al Padre, cioè sia nella gloria, perché lì Egli si trova nella «casa del Padre» anche in quanto uomo. Per Giovanni amare Gesù significa accoglierlo nella sua realtà sconcertante della sua incarnazione e soprattutto della sua “ora”, che è tempo della passione-glorificazione. I giudei “non hanno amato Gesù” perché si sono rifiutati di accoglierlo (cf Gv 8,42). L’amore per Gesù, fondamentalmente, non è altro che la fede operante, l’accordo profondo della volontà, dell’adesione dello spirito e del cuore, della “fedeltà amante” alla sua parola.
«Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Chi ama Gesù e vive, cioè realizza pienamente le sue parole, diventa un tempio, nel quale dimora Dio. L'inabitazione di Dio nell'anima degli uomini costituisce uno dei doni più grandi che Dio possa elargire a noi sulla terra. In modo misterioso l'anima diventa «cielo sulla terra».
vv.25-26 «Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome...» La promessa del “Consolatore” è un altro tema molto presente nei “discorsi di addio” (cf Gv 14,25-26 e 16,12-14). La partenza di Gesù apre il tempo dello Spirito, dal greco (paráclétos): non solo nel senso dell'avvocato che difende gli uomini, ma anche nel senso di colui che parla e intercede in loro favore. «Paraclito» nel senso che noi siamo sostenuti e protetti da lui.
«Vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Lo Spirito Santo ci proteggerà perché ci farà capire la parola di Gesù, che non è altro che la parola stessa del Padre (v. 24). Svolgerà questo compito dando calore, forza e intelligibilità a tale parola nella nostra vita. Riporta alla memoria quella parola, non come qualcosa di dimenticato, ma come realtà riscoperta a livello più profondo di fede e di gioia cristiana.
v.27 «Vi lascio la pace, vi do la mia pace». Il prezioso bene della pace è dono di Gesù, è lui che ce lo lascia. Dove c'è Dio, ivi è la pace. Questa pace, intimamente commessa con la presenza di Dio, può sussistere anche in mezzo agli assalti o alle insidie del male, anche in mezzo alle sofferenze. Spesso i Santi parlano dell'esperienza di questa pace profonda, che nessuno al mondo può toglierci.
vv.28-29 «Vado e tornerò da voi...». Gesù non si sottrae che al contatto materiale, corporeo con noi. Ma egli ritornerà in due modi: primo, con lo Spirito Santo; secondo, alla fine dei tempi come Risorto nella sua gloria.
Messaggio globale
Noi siamo in cammino verso la Gerusalemme celeste - ma solo a condizione di essere già per via, protesi verso la meta - che è Gerusalemme stessa a scendere verso di noi in tutta la sua bellezza, per compiere il nostro desiderio e il nostro pellegrinaggio. In questo cammino, come ci ricorda Gesù nel vangelo di Giovanni, dobbiamo portare con noi un bagaglio sobrio, essenziale ma indispensabile. Innanzitutto una parola da osservare e custodire, o meglio, quella parola che è Gesù stesso come rivelazione definitiva del Padre. Dimorando in lui e nel suo amore siamo certi di essere già in comunione con il Padre, anche nel tempo del nostro pellegrinaggio. A consentirci di rimanere nella Parola c'è il dono dello Spirito Santo – il secondo bene essenziale da portare con sé - che ci insegna ogni cosa ricordando tutto ciò che il Signore Gesù ci ha detto. Quello dello Spirito è un insegnare ricordando, consentendoci di approfondire la rivelazione di Gesù e anche di discernere nella sua luce le decisioni da assumere di volta in volta, di fronte ai problemi che man mano insorgono lungo il cammino. Appunto come accade nel concilio di Gerusalemme, quando le decisioni vengono prese sulla base di quanto «è parso bene allo Spirito Santo e a noi» (v. 28). Un terzo bene da portare con sé è la pace donata dal Signore, che vince ogni turbamento e timore. Non mancano infatti lungo la via rischi, pericoli, ostilità, scelte coraggiose da assumere. Tutto può però essere affrontato senza paura, nella pace che è dono del Signore e non del mondo, e che dunque possiamo accogliere se siamo disponibili a una comunione con il Signore che ci converte dalle logiche mondane per farci aderire sempre di più al suo stesso 'sentire'.
Preparando in questo modo il bagaglio per il viaggio ci si accorge tuttavia che si porta con sé un bene infinitamente più grande: la presenza stessa di Dio che cammina con noi e in noi. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Già lungo il cammino si gusta anticipatamente ciò che ci attende al suo compimento: il Padre e il Figlio abitano in noi così come il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello abitano nel cuore della Gerusalemme celeste.
Preghiera finale
La tua parola, Gesù, è una luce che illumina il nostro cammino e ci permette di affrontare la complessità di ogni giorno senza perdere l’orientamento. La tua parola, Gesù, è sorgente di saggezza: ad essa possiamo attingere per le scelte e le decisioni che imprimono una direzione ed un senso alla nostra esistenza. La tua parola, Gesù, è come un fuoco che brucia in noi tutto ciò che è contrario al disegno di Dio ed accende sentimenti nuovi ed un coraggio sconosciuto. La tua parola, Gesù, esige non solo un ascolto attento ma anche un cuore docile, disposto a metterla in pratica, a farla fruttificare. Per questo tu ci doni il tuo Spirito: perché ci faccia ricordare ogni tua parola, ci strappi al turbamento, ci doni un desiderio nuovo di annunciare e di vivere il tuo Vangelo in ogni circostanza, perché in questa terra lacerata crescano la compassione e la misericordia. Di tutto questo, noi ringraziamo Te nell’unità del Padre e dello Spirito Santo, Amen.

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