giovedì 13 maggio 2010

LECTIO DIVINA, ASCENSIONE DEL SIGNORE, ANNO C.


Preghiera iniziale
Vieni, Spirito Santo, a guidare i nostri passi sulla strada tracciata da Gesù. Troppe volte ci sentiamo smarriti e disorientati, sedotti dalle lusinghe di una saggezza che non ha nulla da spartire con il Vangelo. Insegnaci ad essere poveri come è stato Gesù e a riporre la nostra fiducia non nei disegni degli uomini, ma nel progetto di Dio che si rivela nella sua Parola. Vieni, Spirito Santo, a donarci la vera gioia, nutrita ogni giorno di speranza, abbeverata alle sorgenti di acqua viva. Non permettere che ci dissetiamo a pozzi inquinati, che ci lasciamo illudere da percorsi senza via d’uscita. Apri le nostre menti agli orizzonti del Regno, alla sua giustizia e alla sua pace. Amen.
Prima lettura Att.1,1-11
Siamo all’inizio degli Atti degli apostoli e Luca intende ricollegarsi all’opera precedente (il suo vangelo), chiarendo che gli Atti costituiscono una continuazione del vangelo. Infatti, questo brano è come cerniera che unisce le due parti dell’opera lucana e della vita della Chiesa. Quindi, possiamo parlare del tempo prima dell’Ascensione come di quello nel quale Gesù ha posto le basi della Chiesa, e di quello che viene dopo come di uno sviluppo di quanto da lui iniziato. La figura di Gesù sta al centro della scena, ma per lasciare presto il campo ad altri protagonisti. In questo racconto l’autore  presenta i personaggi chiave di tutta la vicenda narrata, anticipa i campi d’azione dove questa si svolgerà e il programma che verrà illustrato nel seguito della narrazione.
L’attenzione del  lettore è attirata sugli apostoli. Gesù sta per lasciarli e lo Spirito Santo è per ora soltanto promesso. Siamo quindi portati a fermarci soprattutto sul presente, secondo l’invito dei “due uomini in bianche vesti” (v.10) che chiedono agli apostoli: “Perché state a guardare il cielo?” (v.11). Il passato, cioè l’esperienza diretta con Gesù, fornisce il contenuto della testimonianza che è loro richiesta. Per il futuro riceveranno la “forza dallo Spirito Santo” (v.8) e dovranno sempre mantenere viva l’attesa del ritorno del Signore (cf. v. 11).
Ma intanto devono lasciare rimpianti e illusioni (“E’ questo il tempo in cui ricostituirai i regno di Israele?” v.6) e disporsi ad andare lontano dalla loro patria “fino agli estremi confini della terra” (v.8). Ormai il regno di Dio predicato è affidato agli apostoli. L’annuncio e la predicazione sono diventati il compito della Chiesa che, se non potrà contare sulla presenza fisica del Maestro, godrà però dell’assistenza del suo Spirito. Ecco il nuovo protagonista che dominerà il racconto degli Atti guidando le scelte e animando la vita delle comunità cristiane.
Il passaggio dalla situazione precedente a quella nuova che li aspetta avverrà grazie ad una trasformazione che sarà operata negli apostoli proprio dallo Spirito. Il testo parla di un “battesimo” che verrà conferito “nello Spirito Santo” (v.5), alludendo alla Pentecoste che segnerà l’inizio ufficiale e solenne della nuova dimensione nella quale si muoveranno gli apostoli e il loro discepoli.
Seconda lettura Ebr 9,24-28; 10,19-23
Il testo riunisce insieme due brani di due diverse sezioni dello scritto. Nel primo brano (9,24-28), appartenente alla sezione centrale della lettera, l’autore insiste sulla comparazione tra l’alleanza antica e quella nuova inaugurata da Cristo, sostenendo la radicale superiorità di quest’ultima. Di fatto, il testo dice: Cristo è entrato in un santuario che è “il cielo stesso” (v.24) per comparire alla “destra di Dio” glorioso e abile mediatore di un’alleanza superiore che possa purificare la persona e renderla perfetta davanti a Dio. La dignità del suo sacrificio è qualificata dall’implicazione della sua stessa esistenza, Egli, a differenza dei sacerdoti del culto levitico, che offrivano “sangue altrui” (v.25), presenta se stesso al cospetto di Dio e con la sua passione ottiene la salvezza per l’umanità. La garanzia, invece, che autentica la sua mediazione sacerdotale, è sottolineata dall’unicità di tale sacrificio. Il suo atto, infatti, è un hapax, l’offerta “una volta per tutte”, superiore ai molteplici tentativi compiuti dai sacerdoti del culto antico (v.26). La sua mediazione è anche fondamento della redenzione. L’opera suprema della nuova alleanza è propriamente il dono della salvezza (v.28), la manifestazione di una salvezza definitiva che non apporta la semplice “remissione” dei peccati (v.22), ma la radicale “abrogazione” (v.26), come messaggio di purificazione globale della persona. Questo sommo sacerdote, accolto degnamente da Dio per il suo “rispetto ossequioso” (5,8), è Cristo, Figlio di Dio glorioso, “causa di salvezza eterna” (5,9) per coloro che docilmente sanno percorrere la via del nuovo santuario celeste.
Nel secondo brano (10,19-23) si tracciano le conseguenze di questa mediazione, i frutti che ne derivano per tutti noi. In realtà, in virtù della mediazione sacerdotale del Figlio, questi “discepoli” di Cristo, santificati dall’irripetibile e definitivo sacrificio del suo corpo, hanno ricevuto finalmente “il diritto” ad accedere nella piena comunione con Dio (v.19). Essi hanno trovato la via d’accesso, quel cammino, “nuovo e vivente” (v.20a), preparato da Cristo. L’unica e assoluta mediazione, gradita a Dio, che ha realmente annullato la distanza che separava la trascendenza divina dall’intensa ricerca umana. Dio si è avvicinato all’uomo e l’uomo l’ha incontrato.
Ma la trasformazione interiore dei credenti prevede il compimento di alcune condizioni, che dischiudono l’accesso verso Dio. La prima condizione riguarda la sincerità della propria scelta di fede (v.22°). La pienezza di fede, infatti, è data dalla rettitudine delle proprie intenzioni e dalla docilità ad accogliere la purificazione della coscienza (v.22b), per mezzo del lavacro rigenerativo del sangue di Cristo. Alla fede l’autore affianca una seconda condizione “la professione della speranza” (v.23). Essa deve rimanere ferma e “incrollabile”, per l’autorevolezza delle promesse messianiche (cfr 6,12; 8,6; 9,15; 10,1), realizzate da colui che “ha attraversato i cieli, Gesù Figlio di Dio” (4,14).
Il Vangelo Lc 24,46-53
Contesto:
Il testo appartiene alla sezione conclusiva del terzo vangelo, che abbraccia l'intero capitolo 24 e lega tra loro strettamente gli avvenimenti che scandirono un'intera giornata, il «primo giorno dopo il sabato» (24,1): le donne scoprirono la tomba vuota e, ricevuto l’annunzio della risurrezione di Gesù, lo comunicarono agli Undici; anche Pietro andò a vedere la tomba vuota e restò «pieno di stupore»; due discepoli che andavano a Emmaus si imbatterono in Gesù, vennero da lui istruiti sul significato delle Scritture e finirono per riconoscerlo nella frazione del pane; finalmente, a tarda sera, Gesù in persona apparve agli apostoli riuniti, diede loro le ultime istruzioni, affidò a loro la missione della testimonianza, li benedisse e si staccò da loro.
Spiegazione del testo
v. 46. «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno. Cosa sta scritto? Dove? L’unica scrittura che noi conosciamo è quella di un incontro. Dio sembra non possa fare a meno dell’uomo, per questo lo va a cercare, ovunque si trova, e non si arrende finché non lo riabbraccia. Questo è ciò che è scritto. Un amore eterno, capace di scendere nel patire, di bere fino in fondo il calice del dolore pur di rivedere il volto del figlio amato. Negli abissi della non vita Cristo scende per prendere la mano dell’uomo e riaccompagnarlo a casa. Tre giorni. Tre momenti. Passione, morte, risurrezione. Questo è ciò che è scritto. Per Cristo e per ognuno che gli appartenga. Passione: tu ti consegni con fiducia, e l’altro fa di te ciò che vuole, ti abbraccia o ti strapazza, ti accoglie o ti respinge… ma tu continui ad amare, fino alla fine. Morte: una vita che non si tira indietro… muore, si spegne… ma non per sempre, perché la morte ha potere sulla carne, lo spirito che da Dio viene a Dio ritorna. Risurrezione: Tutto acquista senso alla luce della Vita: l’amore donato non muore, risorge sempre.
v. 47. E nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. La parola di Gesù, pronunciata nella storia, non si ferma. Ha bisogno di annunciatori. E gli apostoli vanno, mandati nel nome santo di Dio. Vanno a tutte le genti. Non più un popolo eletto, ma tutti gli uomini eletti. Vanno a prendere per le spalle i loro fratelli e a convertirli, a girarli verso di loro per dire: Tutto ti è perdonato, puoi tornare a vivere la vita divina, Gesù è morto e risorto per te! Non è una invenzione la fede. Vengo da Gerusalemme. Ho visto con i miei occhi, l’ho sperimentato nella mia vita. Non ti racconto altro che la mia storia, una storia di salvezza.
v. 48. Di questo voi siete testimoni. Dio lo si conosce per esperienza. Essere testimoni vuol dire portare scritta nella pelle, cucita sillaba per sillaba, la Parola che è Cristo. Quando un uomo è stato toccato da Cristo, diventa come una lampada: anche se non lo volesse, risplende! E se la fiamma volessi spegnerla, si riaccende, perché la luce non è della lampada ma dello Spirito riversato nel cuore, che irradia senza fine la comunione eterna.
 v. 49. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto»Le promesse di Gesù non vengono meno. Lui se ne va, ma non lascia orfani i suoi amici. Sa che hanno bisogno della presenza costante di Dio. E Dio torna a venire all’uomo. Questa volta non più nella carne, ma invisibilmente nel fuoco di un amore impalpabile, nell’ardore di un vincolo che mai più si romperà, l’arcobaleno dell’alleanza ratificata, lo splendore del sorriso di Dio, lo Spirito Santo. Rivestiti di Cristo, rivestiti dello Spirito gli apostoli non avranno più paura, e potranno finalmente andare!
v. 50. Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Il momento del lasciarsi è solenne. Betania, il luogo dell’amicizia. Gesù alza le mani e benedice i suoi. Un gesto di saluto che è un dono. Dio non si allontana dai suoi, semplicemente li lascia per tornare in altra veste.
v. 51. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ogni distacco è sicuramente un evento che porta dispiacere. Ma in questo caso la benedizione è un lascito di grazia. E gli apostoli vivono una comunione intensa con il loro Signore tanto da non avvertire separazione.
v. 52. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia. La gioia degli apostoli è grande, gioia di tornare per le vie di Gerusalemme con un tesoro sconfinato, la gioia dell’appartenenza. L’umanità di Cristo entra in cielo, è una porta che si riapre per non più chiudersi. La gioia della sovrabbondanza di vita che Cristo ha ormai versato nella loro esperienza non si arresterà più…
v. 53. E stavano sempre nel tempio lodando Dio. Stare… un verbo importantissimo per il cristiano. Stare suppone una forza particolare, la capacità di non fuggire le situazioni ma di viverle assaporandole fino in fondo. Stare. Un programma evangelico da portare a tutti. Allora la lode scaturisce sincera, perché nello stare la volontà di Dio è sorseggiata come bevanda salutare e inebriante di beatitudine.
Dall’esperienza carmelitana: Teresa di Lisieux
“Nonostante la mia piccolezza, vorrei illuminare le anime come i profeti, i dottori, ho la vocazione di  essere apostolo. Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome, e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa, ma, oh Amato, una sola missione non mi basterebbe, vorrei al tempo stesso  annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, e fino nelle isole più remote. Vorrei essere  missionaria non soltanto per qualche anno, ma vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo,  ed esserlo fino alla consumazione dei secoli” (MA 251).
Preghiera finale
Signore Gesù, Tu non abbandoni i tuoi discepoli al loro destino, non li lasci soli ad affrontare i rischi e le fatiche della missione che hai loro affidato. Anzi, salendo al cielo tu puoi essere vicino ad ognuno di loro, ad ognuno di noi. Certo, la tua presenza, Signore risorto, non si impone a nessuno, ma coloro che ti cercano, coloro che ti accolgono, coloro che desiderano mettere in pratica la tua Parola possono contare su di te in ogni momento dell’esistenza, in ogni frangente della storia. Ora ogni uomo e ogni donna, di ogni nazione e di ogni epoca possono incontrarti vivo sul loro cammino. Perché tu ci vieni incontro attraverso la tua Parola, custodita nei vangeli, Parola che rischiara e ridesta i nostri cuori. Perché tu continui a donarti come Pane buono, che dà la vita eterna. Perché tu ci visiti attraverso i nostri fratelli e, particolarmente, in quelli che attendono un aiuto. Ti ringraziamo perché nella tua vita terrena ci hai insegnato tutto e ti sei donato totalmente a noi, e ora che sei salito al cielo continui a sostenerci insieme al Padre nell’unità dello Spirito Santo. Amen.

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